Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.
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martedì 6 dicembre 2016

Sassofonista, olio su tela 1997

Impara tutto ciò che puoi sulla musica e sul tuo strumento; poi dimentica tutto e suona come senti di dover suonare.
Charlie Parker


Sassofonista, olio su tela 1996 - opera lodata da Piero Golia 

sabato 10 ottobre 2015

Storia di un quadro | Senza titolo, olio su tela

Disegno: procedimento compositivo che può rappre­sentare un'opera d'arte in sé o la fase preparatoria o iniziale di un'opera, sia pittorica, che scultorea che architettonica. In pittura, il D. è integrato al processo operativo sia nella sua forma di fase preliminare sia nel suo aspetto compiuto di contorno delle forme. I pittori del Trecento e del Quattrocento erano soliti tracciare sulla tavola le linee di contorno, all'interno delle quali stendevano successivamente il colore. Per gli affreschi, essi realizzavano le sinopie (le preparazioni con ocra rossa del D.), che costituivano allo stesso tempo il progetto e la fase iniziale dell'opera. In una figurazione dipinta, è estremamente difficile stabilire dove finisca il D. ed inizi la pittura, poiché anche lo spessore del tratto di contorno può rappresentare una macchia di colore e anche il colore può essere ridotto a linea ed ha, comun­que, un limite di contorno, un margine lineare. Ciò non ha impedito, nella storia della pittura, un dibattito stilistico tra i sostenitori della prevalenza del D., cioè della linea, sul colore e i sostenitori della prevalenza del colore sulla linea. Ne è un esempio la contrapposizione tra Ingres e Delacroix: il primo sostiene che il «D. è la probità dell'arte» e staglia le forme in contorni nitidi e chiari; il secondo sostiene che «il pregio del quadro sta nell'indefinibile» e che «la fredda esattezza non costitui­sce l'arte». 
Questa contrappo­sizione rappresenta anche la base della diversità dell'e­stetica neoclassicista rispetto a quella romantica: per la prima, la precisione della linea incarna il bisogno di rigore e di ordine; per la seconda, il colore costituisce il mezzo per esprimere la carica emozionale e sentimenta­le dell'artista. Ma non si deve pensare che l'identificazione della linea con il razionali­smo e del colore con il soggettivismo sia un elemento definitivo nella storia della pittura; essa rappresenta piuttosto una tendenza che può talora emergere, ma non un canone scontato. Esistono, ad esempio, pittori come Toulouse-Lautrec, Rousseau, Matisse e Dalì, che si servono di contorni esatti e nitidi per esprimere il proprio mondo interiore ed irrazionale.
 Scrittori e opere, Marchese Grillini


senza titolo, olio su tela 1996 - Gianluca Salvati

domenica 2 agosto 2015

Zoran Music, le immagini e il vento

È strano come le Sue immagini mi ricordino il vento...

Il vento spazza via le cose, e l'uomo può soltanto esserne travolto.

 Avrei una bella pretesa se volessi sostituirmi al vento: ci riescono soltanto i grandissimi artisti, come Giorgione, Bellini, Picasso. Sono stati uragani che hanno cambiato il mondo della pittura, che lo hanno trasformato. Quanto a me, mi accontenterei di essere ricordato come una leggera brezza.

Zoran Music - Dialogo con l'autoritratto, Paolo Levi

 


Autoritratto, olio su tela Zoran Music

martedì 11 novembre 2014

Pittura figurativa contemporanea - Weltanschauung, influenza e formazione | Storia dell'arte di Piero Adorno

La parola "influenza", tanto usata dagli storici dell'arte, non deve infatti essere intesa nel senso esteriore, come qualcosa che condiziona la volontà dell'artista, ma come componente della sua formazione culturale. Ciascuno di noi è quello che è per gli infiniti e continui contatti con il mondo che lo circonda, per gli scambi di idee, le letture, le visioni di oggetti, di opere d'arte, e così via: tutto resta a sedimentare, formandoci e trasformandoci, fino a determinare il nostro modo di pensare, che non è la "somma" meccanica di tante conoscenze; è, al contrario, la nostra interpretazione della società, completamente personale, completamente autonoma; è, per usare un termine tedesco che esprime perfettamente questa idea, la nostra Weltanschauung, la nostra "concezione del mondo".
L'arte italiana vol. I, Piero Adorno


Tennista, olio su tela - Gianluca Salvati 1999


sabato 25 ottobre 2014

Enrico Cajati nel ricordo di Salvatore Vitagliano | Pittura figurativa contemporanea

Moderato al nutrirsi e a ogni altro avere che non fosse la sua parola, che spendeva sempre ovunque e volentieri per onor del vero e amore di giustizia, Enrico si concesse un’unica eccezione: qualche puntatina al lotto. Ma quelli erano esami preliminari, il settimanale confronto col fato: lui, uomo profeta, divinatore e mago, da buon napoletano, spendeva a volte qualche mille lire per verificare l’esattezza delle sue percezioni, e da assistito qual era, ebbe spesso a trarne vantaggio.

Untitled,  olio su tela - Gianluca Salvati 1996

[..] Basso, trasandato, brutto e perspicace, era capace di sorprendere chiunque e a tutti distribuiva fiammeggianti scintille del suo sapere. Gentile con l’onesto, forte coi forti, amico con gli amici, nemico coi nemici dell’arte, alla fine, quasi a consolar se stesso, fu sempre coi perdenti. Dell’animo degli umani nulla gli sfuggiva.  Ai curiosi perdigiorno, agli invadenti, ai troppo sicuri di sé, quando gli chiedevano di poter visitare il suo atelier, dava sempre un altro indirizzo che non era poi tanto distante da quello reale e in questo v’era forse uno scopo ben preciso: come i grandi maestri Zen, per entrare nel suo Tempio (i sottoscala di Santa Teresa), dovevi quantomeno superare delle prove e la prima e più importante era quella di trovare il luogo, e com’era difficile: quante volte in tanti ci hanno girato intorno, molti (i più pazienti) aspettarono anni prima di inoltrarsi in esso, altri, a meno che il destino non li guidasse o fossero dei fortunati, non lo trovarono mai.
Salvatore Vitagliano (artista)

lunedì 30 giugno 2014

Paolo La Motta e i cani | Ottobre rosso

Tra i quadri che portai alla collettiva dell'ottobre 1999, c'erano i miei cani, Kira e Manta. In realtà solo Manta era il mio cane (e che cane!), mentre Kira era sua madre. Dei due quadri Kira era il mio preferito. Innanzitutto per la posa assai plastica che avevo immortalato con una foto. Inoltre, quel lavoro l'avevo costruito a partire da un quadro astratto che avevo ammirato in una galleria: un dipinto bianco e nero basato su una geometria decisamente euclidea, che nella mia tela era diventato un tappeto. Con questo non intendevo svilire l'astrazione, anzi, quel tappeto rappresentava il cuore del quadro. Lavorando a Kira, infatti, avevo rielaborato il drammatico ricovero di 4 anni prima all'ospedale Cardarelli, poi al Cotugno. Di fatto più un odissea che un ricovero. Non mi rendevo conto quando l'ho dipinto, l'ho capito solo in seguito.
Dunque Kira era un quadro concluso. E funzionava piuttosto bene, direi... Era piaciuto al Papari, a La Motta che mi loderà per anni i cani. Il Mamone ne decantò "i rossi cardinalizi...". In effetti ero stato fortunato, anni prima avevo fatto scorte di tubetti della Pallard, una ditta di colori che era fallita. Anche se non c'era molta scelta, per lo più rosso carmine e verde smeraldo, avevo scoperto che quei tubetti ad olio possedevano una resa formidabile, dunque ne acquistai quasi tutte le rimanenze. A buon rendere: negli anni in cui facevo incetta di quei colori la mia tavolozza era molto diversa, variava dal blu al nero, dal giallo ocra al bianco. I rossi non esistevano quasi nei miei quadri, se non come terre. E non esistevano i verdi. Cosicché avevo fatto un piccolo investimento per il futuro... Ed avevo visto bene. Il 1999 è stato l'anno dei rossi. Successivamente ho sfruttato anche le scorte di verde.
Alla collettiva esponevo i lavori fatti per la personale di aprile, ma a quel punto erano abbastanza chiari per me: sapevo quali funzionavano senza ombra di dubbio e quali avrei fatto bene a cestinare. Quelli buoni funzionano tutt'oggi.

Kira, olio su tela 1999 - Gianluca Salvati


sabato 9 novembre 2013

Pittura figurativa contemporanea - colore e luce

Colorismo: (agg. colorista) in pittura, tendenza a far prevalere il colore sul disegno e sulla linea; effetto stilistico basato sul colore più che sulla composizione o che mette in risalto le qualità del colore. Nell'arte rina­scimentale si può trovare un esempio di pittura coloristi­ca in Tiziano , nelle cui composizioni le qualità tonali del colore assumono un'importanza fondamentale. Nella pittura moderna, Delacroix e gli lmpressionisti ci offrono due esempi di prevalenze del colore sulla linea. Delacroix, in polemica con la tenden­za di Ingres ad «esagerare i contorni», fa una pittura ba­sata su forti contrasti di colore, poiché solo il colore, che è luce, può dare spessore, e quindi vita, alle forme. Anche per gli Impressionisti le forme non possono essere ottenute con le linee, ma con i colori, che vengono stesi con rapidi colpi di pennello per suggerire l'impressione della mutevolezza e transito­rietà dell'immagine.
Scrittori e opere, Marchese/Grillini


1997, olio su tela - Gianluca Salvati

venerdì 8 novembre 2013

Storia di un quadro | Arte e impegno di Carlos Fuentes

Personalmente non credo alla figura dello scrittore “impegnato”, così come credo che nessun artista possa essere obbligato a prendere una posizione.
Ritengo che uno scrittore soddisfi i propri obblighi morali nel momento in cui riesce a mantenere vitale la propria immaginazione e il proprio linguaggio. I primi atti compiuti da Hitler, Stalin e gli altri tiranni sono stati quelli di mettere al bando la scrittura e la libera stampa: non c’è nulla che un dittatore teme maggiormente dell’immaginazione. Uno dei motivi per cui sono particolarmente felice per il premio Nobel attribuito a Günter Grass è l’implicito riconoscimento per lo straordinario lavoro di restauro e di rivitalizzazione che lui ha compiuto attraverso l’immaginazione su una lingua mortificata da un periodo di barbarie. È esattamente questo il fine ultimo che dovrebbe avere uno scrittore in campo politico, e a questo riguardo ci sono esempi illuminanti da parte di autori che hanno preso posizioni in apparenza più distaccate: pensi a Balzac che si dichiarava reazionario e monarchico, ma attraverso la sua scrittura, e il mondo che ha descritto in maniera indimenticabile, ha influenzato milioni di persone che hanno fatto scelte politiche diverse dalle sue, non ultimo Karl Marx.  Non esistono regole fisse sul ruolo dello scrittore, né della letteratura.
[…]  Io sono tra coloro che pensano che il modo migliore per essere realmente universali è rimanere fedeli alle proprie radici.  Questo non significa che bisogna rimanere all’interno degli orizzonti del proprio paese: credo che il mondo moderno inviti chiunque a partecipare della cultura altrui, a condizione di non snaturare la propria.
Carlos Fuentes

Violencellista, olio su tela - 1998

giovedì 21 febbraio 2013

Macchiaioli, Giovanni Fattori | “Gli uomini che fecero l'Italia” di Giovanni Spadolini | Libecciata, olio su tela

“Macchiaioli”. È una parola che i francesi non riescono né a tradurre né a pronunciare. Tachistes (in francese macchia si traduce in tache) indica una scuola artistica radicalmente diversa. Impronunciabile il nome, per un secolo e più la critica francese ha ignorato la scuola livornese-fiorentina che si chiamò tale, alle origini dello Stato unitario, nel 1862, per reazione polemica al giudizio derisorio e ironico di un quotidiano torinese. E prima che Torino perdesse, a vantaggio di Firenze, il ruolo di capitale.
È stato un contenzioso di silenzi o di equivoci, che si è chiuso solo, nell'autunno del 1978, con la mostra al “Gran Palais” dedicata a “I macchiaioli peintres en Toscane aprés 1850”, con quel titolo semplice e scabro.
[…] Solo Giovanni Fattori aveva squarciato, in qualche momento, la nebbia dell'indifferenza generale o della sufficienza e alterigia burocratica.
[…] Essenziale, nella sua storia personale ed artistica, l'origine livornese. Livorno: la città più libera della Toscana ottocentesca. La città che per prima aveva tradotto l'Encyclopédie e introdotto gli illuministi nella penisola. La città dell'Indicatore livornese, sacra alle prime esperienze di Mazzini. La città delle passioni repubblicane represse e del tempestoso magistero guerrazziano. La città dove il Quarantotto significò qualcosa, turbamento, lacerazione di vecchi schemi, quasi insurrezione popolare e non fu soltanto aggiustamento o evocazione di antichi miti nazionali, di remote illusioni archeologiche.
[…] Come livornese, come guerrazziano, Giovanni Fattori partiva da una posizione democratica, popolaresca e, almeno agli inizi, repubblicaneggiante. Non era e non sarà mai uomo della consorteria.
[…] Nel complesso, al di là di ogni giudizio e di ogni annotazione estetica, quell'opera pittorica, quella specie di Risorgimento illustrato, assolverà una funzione precisa di apostolato e di pedagogia nazionali, paragonabile a De Amicis col suo Cuore.
Dal punto di vista artistico, il “monumentale” Assalto alla Madonna della Scoperta non riesce ad allontanare lo sguardo dalle piccole e incantate marine di Castiglioncello, dagli abbozzi di vita campestre, in cui il brivido della pittura macchiaiola si avverte con un ritmo tanto più intenso e sofferto. 
Il suo mondo ideale è delimitato dalle pianure solitarie della Maremma, e le macchie dei boschi si identificano con gli artifici pittorici, e gli alberi taciturni e potenti diventano veicoli di un paesaggio che non è mai retorico, che è teso esclusivamente alla scoperta della natura (non a caso i cavalli dominano le opere di un tipo e dell'altro).
Si è parlato di Corot per Fattori, e non esistono dubbi sulla profonda ammirazione del pittore italiano (che conosceva Parigi, che non era affatto un “sempliciotto”, come fu descritto) per il grande artista d'oltralpe, da lui rivisitato con devota attenzione nel 1875. E in Giovanni Fattori c'è, come in Corot, l'ambiguità fra l'arte tradizionale che si consuma e l'arte nuova che è anticipata, intuita, scoperta.
Grande pittore, Fattori fu grandissimo come incisore e acquafortista. Con metodo personalissimo e con una fedeltà meticolosa, puntigliosa da artigiano, ebbe la capacità di elaborare un corpus di oltre centosessanta lastre, che costituiscono un record nell'arte italiana: tutte omogenee, respiranti in uno stesso clima. Il frutto di una tecnica mirabile che si inserisce, con una vena inconfondibile, nel clima di naturalismo e di verismo sociale che negli stessi anni, in opposizione all'impressionismo, impronterà di sé tanta parte della produzione artistica e letteraria d'Europa.
Gli uomini che fecero l'Italia, Giovanni Spadolini

Libecciata, olio su tela Giovanni Fattori

venerdì 25 gennaio 2013

Piero Golia, opera prima - Accademia di Belle Arti di Napoli, "Corso del Libero Nudo"

Alla prima collettiva di rilievo, all'Accademia di Belle Arti di Napoli, Piero Golia espose un coniglio (giugno 1997). Per dare un tocco di innovazione tecnologica alla sua trovata artistica, quel Peter Pan dell'arte contemporanea sistemò due piccoli altoparlanti vicino al contenitore del coniglio. Le casse riproducevano una registrazione: Piero Golia chiedeva disperatamente di uscire da lì, parlando al posto del coniglio. Aveva registrato la propria voce per fare le veci del coniglio, come si dice in gergo burocratico. L'artista si identificava nel coniglio, era lui che si agitava dal contenitore plastico chiedendo di uscire. 
E l'artista, a sua volta chi era? Il coniglio?!? 
L'opera di Piero Golia si apriva ad un caleidoscopio di interpretazioni...
Quello sì che si poteva definire vero coraggio controrivoluzionario...

Piero Golia, coraggiosa opera prima, 1997- Accademia di Belle Arti di Napoli

Francamente quella creazione era di una banalità sconcertante. In particolare, la registrazione dispensava una noia inossidabile: dopo due ore che andava avanti, gli fu chiesto di spegnerla perché era troppo fastidiosa. 

Il quadro esposto con quel coniglio di Piero Golia

Quando venne il direttore dell'Accademia, Gianni Pisani, dopo aver pontificato: “...abbiamo anche un Bacon napoletano...” riferendosi al mio quadro Max Mauro da vecchio... (Bacon, a me?!?), si complimentò con Piero Golia per tutto l'ambaradan della sua opera, “coniglio + altoparlanti” = NOIA, aggiungendo, però, che gli animali non potevano essere esposti. Non lì. Quest'ultima osservazione fu la cosa più sensata che avessi ascoltato quel giorno.

lunedì 19 novembre 2012

Massoneria | Escuela Agustin Codazzi: "Nulla dies sine linea" | Bruno Teodori - Gli speciali del Corriere | Lucia Veronesi

Il cervello negli Usa, il cuore in Italia

"Nulla dies sine linea" - american staffordshire terrier

[...]  Bruno Teodori é il preside della scuola italiana “Agustin Cudazzi” di Caracas , una delle due piú grandi (l’altra é la “Bolivar y Garibaldi”) della capitale, in cui si studia la nostra lingua. Ma la “Cudazzi” é l’unica scuola italiana legalmente riconosciuta. Un osservatorio privilegiato perciò, quello di Teodori, per capire i giovani italovenezuelani.
«Soprattutto quelli della terza generazione hanno stabilito un legame molto forte con l’Italia», dice. «Ce ne accorgiamo dal numero crescente di iscrizioni. É un legame sentimentale che ha tante e intuibili motivazioni. Il richiamo razionale é esercitato invece dagli Stati Uniti».

Murales, acrilici su parete 2010 - Gianluca Salvati

In che senso? Teodori: «Nel senso che la presenza culturale ed economica gli Stati Uniti qui é altrettanto forte. Cosa vuole, sono al di là del Mare dei Caraibi, diciamo un’ora di volo. Moltissimi giovani, venezuelani toutcourt e italovenezuelani, vanno lì a studiare e inevitabilmente ne tornano influenzati, soprattutto dalle dinamiche economiche, e dai tanti aspetti del business possibile». E allora, preside? «E allora, possiamo dire che i giovani italovenezuelani hanno il cervello negli Stati Uniti e il cuore in Italia. Ma non considero questa circostanza una limitazione, anzi».
Perché? «Perché il pragmatismo statunitense unito alla fantasia, all’inventiva e alla sensibilità italiane possono tornare utili a tutti nel momento in cui questi giovani diventeranno dei manager: al Venezuela, agli Stati Uniti e all’Italia. Nell’epoca in cui sono tramontati i nazionalismi culturali e sono stati abbattuti gli steccati ideologici, dobbiamo pensare a un nuovo soggetto sociale che abbia in sè il meglio del passato e il meglio del futuro. Mi sembra che i giovani italovenezuelani, con il cervello negli States e il cuore in Italia, rappresentino quello che cerchiamo».

Paseo por la calle, olio su tela 1997 - Gianluca Salvati

Nella notte tropicale l’aereo fa un lungo giro prima di imboccare la rotta per l’Australia. Caracas è laggiù, foresta di luci che si allontana. La Svizzera dei Caraibi cerca di uscire dalla stagione dei rimpianti: lo fa scommettendo ancora sugli italiani. Solo che questa volta toccherà ai figli e ai nipoti rincorrere il futuro.

La caduta, olio su tela 1996 -  Gianluca Salvati

gianluca salvati

gianluca salvati
Gianluca Salvati - Lotta di cani

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