Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.
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martedì 18 ottobre 2016

Tullio Pironti: una visita da Spazio Arte

Un mattino dell’aprile del 1999, alla mia personale presso Spazio Arte di via Costantinopoli, si presentarono l’editore Tullio Pironti con un accompagnatore. Sapevo chi era Pironti, personaggio piuttosto noto della scena artistica napoletana, ma non avrei immaginato di vederlo alla mia personale. Il tipo, in verità, fece di tutto per far sembrare la sua presenza lì un puro caso...
Un accidente, dagli inevitabili risvolti comici, va detto.

Non è così scontato essere un attore buono per tutte le occasioni. Per queste ed altre incongruenze la sua “casuale visita” suscitò diverse domande, benché non fosse scontato trovarne le risposte nell’immediato...

Altrettanto strana, fu la mancata venuta di Franco Chirico, editore di punta del Cammino Neocatecumenale, oltre che guida spirituale dei miei genitori, (pensate un po’ in che mani erano i miei...). Mia madre gli aveva detto, ad un incontro del CN, che io alla mostra avevo esposto anche un suo ritratto (cosa decisamente vera, benché non intenzionale da parte mia). Ciononostante lui non si vide... E dire che alla mostra collettiva cui avevo preso parte 2 anni prima all’accademia di Belle Arti, il Chirico non solo venne a vederla, ma comprò anche 2 dei miei quadri...
Il primo dipinto che acquistò, come già detto diffusamente, è “Uomo che saluta”, su cui il Chirico trovò il modo di fare alcune congetture sibilline... Ma quel quadro era stato molto ammirato durante la mostra: diverse persone avevano espresso il proprio sincero apprezzamento. La cosa non mi meravigliava, era un quadro decisamente riuscito. Un’ottima risposta al deprezzamento programmato commissionato da qualche fottuto massone al critico Arcangelo Izzo appena un anno prima.
Non ho ancora parlato invece dell’altro lavoro acquistato dal Chirico nel ‘97. Il quadretto era un cartone non molto grande ma davvero intenso ed interessante. Il quadretto in questione è quello in alto a destra sulla foto che vede immortalato un giovane Piero Golia, artista concettuale di primo pelo, lievemente a disagio...
Il cartone nasceva come studio sulla retinatura tipografica. Ed è realizzato ad olio.

Piero Golia in posa vicino al quadro acquistato da Franco Chirico



domenica 25 gennaio 2015

Armando De Stefano a Spazio Arte

Nella seconda metà di aprile del 1999, Paolo Mamone Capria stava curando il catalogo dell'opera di Armando De Stefano. In quel periodo esponevo la mia "prima personale" da Spazio Arte (la "primissima" personale l'avevo tenuta 3 anni addietro in un bar poco distante). Così, una sera Paolo si presentò col mitico pittore napoletano: quello che con la pittura si era arricchito (a Napoli, per giunta).
C'è da dire che il talento di Armando De Stefano è innegabile già dalla sua prima produzione, dunque il merito al successo è ampiamente riconosciuto. Che poi l'artista ad un certo punto della sua carriera abbia preso a ripetersi, come piace al mercato, resta un dettaglio.
Diverso è il caso di quelli, che in assenza di talento o grazie a non meglio precisati talenti, vanno avanti, per così dire, baciati dal regime...
Il mondo è pieno di gente così. Io stesso ne ho conosciuti.
Tornando ad Armando De Stefano, fu un vero onore annoverarlo tra i notabili della scena artistica napoletana che si erano affacciati alla mia personale. Dal prof dell'accademia Massimo Bignardi, tanto per citarne qualcuno, all'editore Tullio Pironti, che si presentò una mattina parlando con un accompagnatore. Fece un giro nell'ampia sala guardando i quadri uno ad uno, sempre interloquendo col suo conoscente che lo seguiva al fianco. E sempre dialogando se ne uscirono, così com'erano entrati.
Mi pareva la versione riveduta e corretta della scuola peripatetica
E, ancora meglio, mi ricorda un'intervista a Massimo Troisi, dove il comico partenopeo parlava della funzione dell'arte e più in particolare del ruolo dell'attore.
Ebbene: secondo Massimo Troisi, l'attore ideale era americano (statunitense ndr.), perché, qualunque cosa facciano, parlano e parlano.
Portava l'esempio dello statunitense medio che rincasa. Saluta la moglie e comincia a parlare. Si dirige in cucina dialogando: domanda, risponde, racconta. Apre il frigo, cerca qualcosa da bere e continua ad articolare parole e frasi con la consorte che si trova nell'altra stanza.
Questa era, per massimo Troisi, la quintessenza di un attore: un tipo loquace, a prescidere da ciò che fa.

Paolo Mamone Capria è un signore nato. Sapevo che stava curando il catalogo per Armando De Stefano, dato che lui non ha mai fatto mistero delle sue attività. Ma non credevo che portasse l'artista alla mia personale.
Fu una vera sorpresa. 

Era grazie a Paolo se e il gruppo dei "Fab Four", come lo chiamavo scherzosamente io, stava in piedi.
Ma la parte più bella di questa storia è che il maestro Armando De Stefano ritornò alla mia mostra, sempre con Paolo Mamone. Quando mi salutò, disse che lo invitavano spesso vernissage e inaugurazioni di mostre... ma c'era un solo motivo che lo spingeva a ritornare ad un'esposizione: perché i quadri gli erano piaciuti.


Discobolo, olio su tela - Gianluca Salvati 1999


domenica 5 ottobre 2014

Augusto Perez e Paolo La Motta | Il maestro e l'allievo

Alla mostra collettiva del '99 venne anche Augusto Perez, uno degli scultori figurativi più interessanti degli ultimi anni. Il maestro era stato insegnante di scultura di Paolo La Motta all'accademia di Belle Arti. Augusto Perez era siciliano, stimatissimo da Guttuso che lo voleva a Roma, dove avrebbe avuto ben altri riscontri. Ma lui aveva scelto Napoli perché era la città più vicina alla sua sensibilità.
Paolo La Motta era stato suo allievo, come già detto, e quando si dice dell'allievo che supera il maestro... ecco: quella metafora non fa al caso nostro. 
Non solo, ma sfortunatamente per Paolo La Motta, l'allievo non è arrivato neanche ad eguagliare il maestro. Neanche molto alla lontana. 
Diciamo che quella distanza iniziale, tra l'allievo e il maestro, è rimasta invariata.
 
L'ultima volta che ho fatto visita alla casa-studio di Paolo La Motta, nell'aprile del 2008, mi si è confermata un'idea che già avevo sulla sua produzione e su di lui. Paolo La Motta brancola nel buio, letteralmente, non sapendo che stile, filone, via, sentiero (per quanto scosceso), o scorciatoia seguire, e a chi accodarsi per giustificare il proprio "essere artista".

Un dusegno di Augusto Perez, grafite su formica

Del grande Augusto Perez ricordo una fenomenale mostra al Palazzo Reale di Napoli nel 1992. Una mostra bella da togliere il fiato. Tutto il resto è patetica decorazione.

sabato 20 settembre 2014

Enrico Cajati alla collettiva di Spazio Arte | Arte e metodo

All'inaugurazione della mostra collettiva nell'ottobre del '99 era presente Enrico Cajati, un pittore assai interessante. Enrico Cajati era stato insegnante di Alessandro Papari e di Francesco Verio all'istituto d'arte. Paolo Mamone Capria e il La Motta già lo conoscevano. 
Ero l'unico che non aveva ancora l'onore di conoscerlo. Ma di Enrico Cajati avevo sentito parlare anni addietro da un architetto e mi ero entusiasmato per il suo "metodo". Lo spiega in questo scritto Salvatore Vitagliano, che lo conosceva bene.  

[...] Nel ’67 la grande svolta. Enrico Cajati giunse alla determinazione di “mettere tutto sullo stesso piano”; appiattendo quindi quella superficie materica che aveva elaborato con tanti anni di sperimentazione e che lo aveva portato alla Biennale di Venezia (a 28 anni) e tornò a quella fonte originaria dove non più il caso ma la costruzione, la costanza, la tecnica, l’osservanza delle regole saranno principi  a cui cercherà di obbedire per tutto il resto della propria vita.
Ho detto “cercherà” perché un uomo del suo istinto e della sua immediatezza gestuale, musicale, dovette castigarsi notevolmente per raggiungere degli apprezzabili risultati, ma in questo castigo di uomo proiettato nel futuro che voleva raggiungere il passato, sta forse la chiave di tutta la sua grandezza. I suoi piccoli quadri informali divennero bozzetti di un lavoro futuro che ha del pazzesco; egli li cominciò a disegnare su fogli lucidi, poi procedeva allo spolvero e una volta riportato il disegno su tela, iniziava il lavoro di campitura, di chiaroscuro, di velature, e quando il risultato finale non lo soddisfaceva, ecco una tinta nuova ricoprire tutto e di nuovo un nuovo inizio e alla fine un nuovo daccapo, e ancora a ricominciare: un buon dipinto va fatto e rifatto sei volte, diceva, e come il Dio creatore egli lavorava sei volte e non meno di sei giorni all’Opera che era tutto il suo mondo. Ma il suo non era un cancellare, bensì un ricoprir di veli, e solo occhi attenti alla pur minima vibrazione di colore potevano catturarne le infinite sequenze di quelle luci nelle tenebre. 

Salvatore Vitagliano - 2002 

Enrico Cajati era una macchietta, spiazzava di continuo gli interlocutori passando, apparentemente, di palo in frasca, sembrava un folletto... in realtà seguiva dei percorsi molto pertinenti riuscendo ad essere istruttivo e divertente allo stesso tempo. 
Aveva il dono della semplicità.


Il pieghevole della mostra con Paolo La Motta e Alessandro Papari


martedì 8 luglio 2014

Alessandro Papari e Paolo La Motta

Alessandro Papari, io e Paolo La Motta

Di gruppo si parlò, in forma ipotetica, nel 1996, nel periodo della mia primissima collettiva al bar di Port'Alba. L'idea di esporre con altre persone partì da Paolo Mamone Capria che frequentavo da qualche tempo. Alessandro Papari aveva esposto nello stesso bar poco dopo di me, ci si incrociava spesso. Era frequente vedere esposizioni di pittura in quel bar: a fine anno accademico gli allievi di Belle Arti esibivano i loro lavori e durante tutto l'anno c'era sempre qualcuno che esponeva, sia professionisti sia dilettanti.
Paolo Mamone era strabiliato dalla tecnica del Papari. Io preferivo di gran lunga i lavori dei miei colleghi dei piani bassi dell'accademia, quelli del corso di Nudo. Loro producevano quadri meno tecnici ma assai più freschi e vibranti. Purtroppo non si poteva organizzare quasi niente con questi ultimi, a parte la mostra di fine anno sollecitata dal prof. Ed era un vero peccato! Così mi abituai all'idea di esporre col Papari, anche se trovavo i suoi lavori troppo virtuosistici e decisamente troppo tradizionali: mi lasciavano perplesso. Era assai distante dalla mia idea di arte.
L'occasione di cominciare ad esporre insieme ad altri si concretizzò solo nel settembre 1998, con l'apertura dell'associazione culturale Spazio Arte in via Costantinopoli, proprio di fronte all'Accademia di Belle Arti. Ero ancora in vacanza dalle parti di Favignana quando mi telefonarono per chiedermi che quadri avrei voluto esporre: adoro queste cose. Paolo Mamone aveva organizzato la mostra collettiva che auspicava da tempo. Era il momento di rientrare a Napoli. Tornai per il giorno dell'inaugurazione. Alla collettiva c'era il Papari che si era tirato dietro lo scultore Paolo La Motta, un personaggio taciturno che conoscevo di vista da almeno otto anni. 
Paolo La Motta e Alessandro Papari in quel periodo facevano coppia fissa, sembravano due inseparabili. Cosicché il gruppo era diventato di quattro elementi. 
Esponendo insieme e frequentandoci, si aprì un certo margine di discussione e confronto. Almeno per chi fra noi prospettava una reale riflessione sul proprio lavoro, dato che ciascuno era molto radicato sulle proprie posizioni e poco incline a vagliarle. 
Anche in galleria però, potevi incontrare persone interessanti con cui avere proficui scambi di opinioni.
Nel mio caso, quel periodo che per certi versi si è prolungato fino al 2007, è stato molto produttivo. Sia sul piano tecnico, sia su quello poetico, avendo compreso le differenze che mi separavano dagli altri componenti del gruppo.

domenica 6 luglio 2014

Gianluca Salvati: mostra personale - Spazio Arte

Gianluca Salvati, mostra personale 1999

È ammirevole, in Gianluca Salvati, la lunga e tenace preparazione con cui egli è giunto a questa sua prima mostra personale. Un percorso di affinamento non strettamente codificato (benché abbia frequentato per qualche anno la Scuola Libera del Nudo all'Accademia di Belle Arti di Napoli), ma sempre teso al miglioramento espressivo, con un peculiare interesse di ricerca per il colore. 

 Dal punto di vista stilistico Salvati ha trovato certamente dei legami con una linea figurativa che ha manifestato il suo rigoglio in Germania specialmente negli anni ottanta, pur connotandosi come fenomeno internazionale, e di cui nel corso di quest'ultimo decennio si sono avute riprese e sviluppi, anche in Italia. 

Tuttavia la velocità deformante del racconto - che è propria di questo filone - non preclude nel nostro giovane pittore, come dicevamo, un'attenzione meditata al colore, qui indagato nelle potenzialità espressive di una gamma ridotta, e l'interesse - non scevro riteniamo, delle suggestioni inglesi di un Peter Howson - a chiudere in maniera plastica e monumentale la figura, sovente presentata in attitudini atletiche, quasi titaneggianti. 

 Un risultato compiuto (ma, naturalmente non conclusivo) si ha dunque in queste opere esposte, in cui l'artista si rivela come temperamento espressionista vigoroso.

Paolo Mamone Capria

giovedì 3 luglio 2014

Sei artisti napoletani | Spazio Arte, collettiva ottobre 1999




Spazio Arte: Sei artisti napoletani, ott. 99
   
   Questa mostra raggruppa sei giovani artisti napoletani uniti più che da programmi comuni di lavoro (quantunque per alcuni di essi la vicinanza e il confronto sia un dato di fatto) da un comune amore per il loro mestiere, e dal convincimento, molto generale ma non meno caratterizzante, di questi tempi, che l’arte vera e propria consisterà sempre più nella pittura e nella scultura, ed eminentemente nella Figurazione.
    Con questo essi sanno di essere automaticamente in conflitto con l’élite che ancora controlla per larga parte le mostre e il collezionismo, e dà accesso alle celle frigorifere dei “musei contemporanei”; e inoltre essi sono ben consapevoli di lavorare in una città che con un eufemismo si può definire sorda.
    Ciononostante, questi sei giovani artisti vanno per la loro strada, sorretti dalla loro passione, ma anche dalla percezione di qualcosa nell’aria che sta cambiando...
P. La Motta   
P. Mamone Capria
F. Minieri   
A. Papari   
G. Salvati   
F. Verio   

gianluca salvati

gianluca salvati
Gianluca Salvati - Lotta di cani

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