Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.
Visualizzazione post con etichetta Alessandro Papari. Mostra tutti i post
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mercoledì 29 giugno 2016

Figurazione e astrazione: lo stato dell'arte

Non ero d'accordo con Paolo Mamone Capria sul piano strettamente operativo: la pittura può essere benissimo astratta e di ottima qualità, mentre non tutto ciò che è figurativo è automaticamente artistico. Anzi una delle ultime paraculate in fatto di pittura figurativa commerciale è fare largo uso di proiettori. Per avere, come prodotto finale, delle brutte foto dipinte... E per un fruitore che non capisce niente, un simile lavoro rappresenta in non plus ultra in fatto d'arte: lo riempie di meraviglia; invece, a chi capisce qualcosa, gli dà il voltastomaco... 
Il mio parere non era necessariamente in contraddizione con i miei illustri colleghi accademici, anche se a volte mi pareva metterli in crisi.  Così, con il dovuto rispetto per le convinzione altrui, seguivo la mia strada.


Collettiva ottobre 1999 - il pieghevole

domenica 25 gennaio 2015

Armando De Stefano a Spazio Arte

Nella seconda metà di aprile del 1999, Paolo Mamone Capria stava curando il catalogo dell'opera di Armando De Stefano. In quel periodo esponevo la mia "prima personale" da Spazio Arte (la "primissima" personale l'avevo tenuta 3 anni addietro in un bar poco distante). Così, una sera Paolo si presentò col mitico pittore napoletano: quello che con la pittura si era arricchito (a Napoli, per giunta).
C'è da dire che il talento di Armando De Stefano è innegabile già dalla sua prima produzione, dunque il merito al successo è ampiamente riconosciuto. Che poi l'artista ad un certo punto della sua carriera abbia preso a ripetersi, come piace al mercato, resta un dettaglio.
Diverso è il caso di quelli, che in assenza di talento o grazie a non meglio precisati talenti, vanno avanti, per così dire, baciati dal regime...
Il mondo è pieno di gente così. Io stesso ne ho conosciuti.
Tornando ad Armando De Stefano, fu un vero onore annoverarlo tra i notabili della scena artistica napoletana che si erano affacciati alla mia personale. Dal prof dell'accademia Massimo Bignardi, tanto per citarne qualcuno, all'editore Tullio Pironti, che si presentò una mattina parlando con un accompagnatore. Fece un giro nell'ampia sala guardando i quadri uno ad uno, sempre interloquendo col suo conoscente che lo seguiva al fianco. E sempre dialogando se ne uscirono, così com'erano entrati.
Mi pareva la versione riveduta e corretta della scuola peripatetica
E, ancora meglio, mi ricorda un'intervista a Massimo Troisi, dove il comico partenopeo parlava della funzione dell'arte e più in particolare del ruolo dell'attore.
Ebbene: secondo Massimo Troisi, l'attore ideale era americano (statunitense ndr.), perché, qualunque cosa facciano, parlano e parlano.
Portava l'esempio dello statunitense medio che rincasa. Saluta la moglie e comincia a parlare. Si dirige in cucina dialogando: domanda, risponde, racconta. Apre il frigo, cerca qualcosa da bere e continua ad articolare parole e frasi con la consorte che si trova nell'altra stanza.
Questa era, per massimo Troisi, la quintessenza di un attore: un tipo loquace, a prescidere da ciò che fa.

Paolo Mamone Capria è un signore nato. Sapevo che stava curando il catalogo per Armando De Stefano, dato che lui non ha mai fatto mistero delle sue attività. Ma non credevo che portasse l'artista alla mia personale.
Fu una vera sorpresa. 

Era grazie a Paolo se e il gruppo dei "Fab Four", come lo chiamavo scherzosamente io, stava in piedi.
Ma la parte più bella di questa storia è che il maestro Armando De Stefano ritornò alla mia mostra, sempre con Paolo Mamone. Quando mi salutò, disse che lo invitavano spesso vernissage e inaugurazioni di mostre... ma c'era un solo motivo che lo spingeva a ritornare ad un'esposizione: perché i quadri gli erano piaciuti.


Discobolo, olio su tela - Gianluca Salvati 1999


sabato 20 settembre 2014

Enrico Cajati alla collettiva di Spazio Arte | Arte e metodo

All'inaugurazione della mostra collettiva nell'ottobre del '99 era presente Enrico Cajati, un pittore assai interessante. Enrico Cajati era stato insegnante di Alessandro Papari e di Francesco Verio all'istituto d'arte. Paolo Mamone Capria e il La Motta già lo conoscevano. 
Ero l'unico che non aveva ancora l'onore di conoscerlo. Ma di Enrico Cajati avevo sentito parlare anni addietro da un architetto e mi ero entusiasmato per il suo "metodo". Lo spiega in questo scritto Salvatore Vitagliano, che lo conosceva bene.  

[...] Nel ’67 la grande svolta. Enrico Cajati giunse alla determinazione di “mettere tutto sullo stesso piano”; appiattendo quindi quella superficie materica che aveva elaborato con tanti anni di sperimentazione e che lo aveva portato alla Biennale di Venezia (a 28 anni) e tornò a quella fonte originaria dove non più il caso ma la costruzione, la costanza, la tecnica, l’osservanza delle regole saranno principi  a cui cercherà di obbedire per tutto il resto della propria vita.
Ho detto “cercherà” perché un uomo del suo istinto e della sua immediatezza gestuale, musicale, dovette castigarsi notevolmente per raggiungere degli apprezzabili risultati, ma in questo castigo di uomo proiettato nel futuro che voleva raggiungere il passato, sta forse la chiave di tutta la sua grandezza. I suoi piccoli quadri informali divennero bozzetti di un lavoro futuro che ha del pazzesco; egli li cominciò a disegnare su fogli lucidi, poi procedeva allo spolvero e una volta riportato il disegno su tela, iniziava il lavoro di campitura, di chiaroscuro, di velature, e quando il risultato finale non lo soddisfaceva, ecco una tinta nuova ricoprire tutto e di nuovo un nuovo inizio e alla fine un nuovo daccapo, e ancora a ricominciare: un buon dipinto va fatto e rifatto sei volte, diceva, e come il Dio creatore egli lavorava sei volte e non meno di sei giorni all’Opera che era tutto il suo mondo. Ma il suo non era un cancellare, bensì un ricoprir di veli, e solo occhi attenti alla pur minima vibrazione di colore potevano catturarne le infinite sequenze di quelle luci nelle tenebre. 

Salvatore Vitagliano - 2002 

Enrico Cajati era una macchietta, spiazzava di continuo gli interlocutori passando, apparentemente, di palo in frasca, sembrava un folletto... in realtà seguiva dei percorsi molto pertinenti riuscendo ad essere istruttivo e divertente allo stesso tempo. 
Aveva il dono della semplicità.


Il pieghevole della mostra con Paolo La Motta e Alessandro Papari


martedì 8 luglio 2014

Alessandro Papari e Paolo La Motta

Alessandro Papari, io e Paolo La Motta

Di gruppo si parlò, in forma ipotetica, nel 1996, nel periodo della mia primissima collettiva al bar di Port'Alba. L'idea di esporre con altre persone partì da Paolo Mamone Capria che frequentavo da qualche tempo. Alessandro Papari aveva esposto nello stesso bar poco dopo di me, ci si incrociava spesso. Era frequente vedere esposizioni di pittura in quel bar: a fine anno accademico gli allievi di Belle Arti esibivano i loro lavori e durante tutto l'anno c'era sempre qualcuno che esponeva, sia professionisti sia dilettanti.
Paolo Mamone era strabiliato dalla tecnica del Papari. Io preferivo di gran lunga i lavori dei miei colleghi dei piani bassi dell'accademia, quelli del corso di Nudo. Loro producevano quadri meno tecnici ma assai più freschi e vibranti. Purtroppo non si poteva organizzare quasi niente con questi ultimi, a parte la mostra di fine anno sollecitata dal prof. Ed era un vero peccato! Così mi abituai all'idea di esporre col Papari, anche se trovavo i suoi lavori troppo virtuosistici e decisamente troppo tradizionali: mi lasciavano perplesso. Era assai distante dalla mia idea di arte.
L'occasione di cominciare ad esporre insieme ad altri si concretizzò solo nel settembre 1998, con l'apertura dell'associazione culturale Spazio Arte in via Costantinopoli, proprio di fronte all'Accademia di Belle Arti. Ero ancora in vacanza dalle parti di Favignana quando mi telefonarono per chiedermi che quadri avrei voluto esporre: adoro queste cose. Paolo Mamone aveva organizzato la mostra collettiva che auspicava da tempo. Era il momento di rientrare a Napoli. Tornai per il giorno dell'inaugurazione. Alla collettiva c'era il Papari che si era tirato dietro lo scultore Paolo La Motta, un personaggio taciturno che conoscevo di vista da almeno otto anni. 
Paolo La Motta e Alessandro Papari in quel periodo facevano coppia fissa, sembravano due inseparabili. Cosicché il gruppo era diventato di quattro elementi. 
Esponendo insieme e frequentandoci, si aprì un certo margine di discussione e confronto. Almeno per chi fra noi prospettava una reale riflessione sul proprio lavoro, dato che ciascuno era molto radicato sulle proprie posizioni e poco incline a vagliarle. 
Anche in galleria però, potevi incontrare persone interessanti con cui avere proficui scambi di opinioni.
Nel mio caso, quel periodo che per certi versi si è prolungato fino al 2007, è stato molto produttivo. Sia sul piano tecnico, sia su quello poetico, avendo compreso le differenze che mi separavano dagli altri componenti del gruppo.

venerdì 4 luglio 2014

Alessandro Papari e il disegno a mano libera | Pittura e tecnologia

Col Papari si parlava spesso di utilizzare il proiettore per la realizzazione del disegno su tela. Lui ad un certo punto si è attrezzato (il Papari è un ragazzo volenteroso). A me l'idea piaceva, ma fino ad un certo punto. In realtà sono a favore di un disegno a mano molto libera. Così come sono contrario anche a sistemi di ingrandimento e riproduzione quali la quadrettatura. Non ho mai affrontato grandi superfici con la pittura figurativa, quindi il mio parere è relativo. 

"Eh?!", tecnica mista su carta stampata - Gianluca Salvati 2013

Ma sono contrario all'utilizzo di proiettori per i lavori realizzati su tela fino ad un formato di 2 metri di altezza per un paio di larghezza. Anche il Papari, dopo averne sperimentato i risultati su un quadro, sul proiettore è stato molto chiaro: non ha nulla a che vedere con la caratterizzazione che dà il disegno a mano libera. Il cui valore resta incomparabile, nonostante gli strabilianti progressi della tecnologia attuale. Il disegno rappresenta il non plus ultra della creatività per l'artista plastico, specialmente oggi che le riproduzioni fotografiche sono alla portata di chiunque.


Cow boy, pennarelli su carta - Gianluca Salvati 2013

giovedì 3 luglio 2014

Sei artisti napoletani | Spazio Arte, collettiva ottobre 1999




Spazio Arte: Sei artisti napoletani, ott. 99
   
   Questa mostra raggruppa sei giovani artisti napoletani uniti più che da programmi comuni di lavoro (quantunque per alcuni di essi la vicinanza e il confronto sia un dato di fatto) da un comune amore per il loro mestiere, e dal convincimento, molto generale ma non meno caratterizzante, di questi tempi, che l’arte vera e propria consisterà sempre più nella pittura e nella scultura, ed eminentemente nella Figurazione.
    Con questo essi sanno di essere automaticamente in conflitto con l’élite che ancora controlla per larga parte le mostre e il collezionismo, e dà accesso alle celle frigorifere dei “musei contemporanei”; e inoltre essi sono ben consapevoli di lavorare in una città che con un eufemismo si può definire sorda.
    Ciononostante, questi sei giovani artisti vanno per la loro strada, sorretti dalla loro passione, ma anche dalla percezione di qualcosa nell’aria che sta cambiando...
P. La Motta   
P. Mamone Capria
F. Minieri   
A. Papari   
G. Salvati   
F. Verio   

gianluca salvati

gianluca salvati
Gianluca Salvati - Lotta di cani

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