Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.
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venerdì 21 novembre 2014

Saul Bellow, funzione dell'arte nella società contemporanea

Non è semplice far si che la gente ascolti, e una volta ascoltato presti anche attenzione e infine si persuada.  Queste difficoltà sono radicate nel cuore stesso della condizione dell’uomo contemporaneo, perché ormai abbiamo imparato ad ascoltare e non ascoltare, ad essere presenti ed assenti allo steso tempo.
[…]  Quando si fa un mestiere che si fonda sulla capacità personale di ottenere e mantenere attenzione, la distrazione, compatta e diffusa com’è a livello planetario, è precisamente la condizione ostile contro la quale si è chiamati a combattere.  La distrazione, alla quale mi capita spesso di pensare come a un fortissimo rumore di fondo, è la barriera attraverso la quale lo scrittore, il pittore, il musicista e il pensatore devono aprirsi un varco.  La distrazione è il confine entro il quale opera il difficile tentativo di indurre gli altri a prestare attenzione all’essenziale, nel momento in cui questa attenzione è sollecitata da ogni parte.  Uno scrittore, dunque, si trova a competere non tanto con gli altri scrittori quanto con tutti i grandi poteri politici e sociali, ciascuno dei quali reclama incessantemente una porzione della nostra mente.
 […]  Ma in questo vasto terreno comune di turbolenza la mente è obbligata a volare molto lontano per  poter trovare un posto davvero tranquillo dove fermarsi.  L’emozione diviene instabile, là dove la distrazione è così diffusa.  Vasti progetti e imprese vivono della nostra attenzione e fanno di tutto per ottenerla, spesso con mezzi più ingannevoli che corretti.  Ogni giorno siamo spinti a comprare automobili, cosmetici, pillole per tenerci in buona salute, antidolorifici, sonniferi, siamo invitati ad aprire conti in banca, a fare investimenti, a soddisfare i nostri capricci, a finanziare iniziative, a entrare in club, a fare vacanze all’estero, ad acquistare computer dell’ultima generazione.
Con questo non voglio mettere sotto accusa il marketing e la società dei consumi, ma accumulare prove che servano a interpretare gli effetti di queste attività commerciali, nonché di altre attività, sulla nostra mentalità e cultura.
Un professore di un’università californiana (che a quanto sembra non aveva niente di meglio da fare) ha calcolato che in un qualsiasi giorno della settimana il New York Times contiene più informazioni di quante un contemporaneo di Shakespeare avrebbe potuto raccogliere nell’arco di una vita intera.
Sono pronto ad ammettere che questo possa essere più o meno vero, anche se ho il sospetto che le informazioni in possesso di un elisabettiano di buona cultura fossero meglio organizzate rispetto a quelle dei lettori del Times.  Non riesco ad immaginare che qualcuno sia disposto a leggere da cima a fondo tutte le pagine di un quotidiano.  Vi assicuro che anche un lettore ossessivo, che si fosse messo in pensione o fosse ricoverato in ospedale o in preda alla disperazione, arriverebbe al massimo a poter fare in una giornata solo questo e nient’altro.
[…]  La gente è fiera della propria capacità di “far tornare tutto” a dispetto della confusione che ci circonda.  Molto tempo fa ho scritto che quello di cui aveva bisogno questo paese era una buona sintesi al prezzo di cinque cent.  Ma che sarà di coloro che a nessun prezzo sono in grado di venire a capo di una sintesi, che sono travolti e sommersi dall’incoerenza, dallo squilibrio, dal delirio ?
[…]  I media, con la loro misteriosa tecnologia, possono fare ben poco per insegnarci a leggere nei fatti.  Fanno parte anch’essi dell’eccitazione che generano.  Non sono in grado di fare luce sull’enormità che riferiscono.  Quando ci scuotono i nervi non sembrano fare altro che rispondere a una domanda diffusa, perfino universale, a una ben individuabile richiesta di orrori.
[…]  Naturalmente gli eventi in sé non sono imputabili ai media, anche se talvolta i media giocano effettivamente un ruolo negli eventi, e possono venire manipolati dai terroristi o dai governi e sedotti per diffondere disinformazione e propaganda.  Questi terribili eventi sono presentati altresì in forma di intrattenimento, e devono lasciare spazio agli obiettivi primari delle reti televisive.  In un medium che ha come fine l’intrattenimento, non ci si può soffermare troppo a lungo su di essi.  Divengono rapidamente obsoleti.
[…]  Io non propongo assolutamente niente.  Il mio unico compito è descrivere.  I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e – pesantemente – politico.  Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire.  Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa.
[…]  Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua.  Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.
Saul Bellow


La caduta, part. olio su tela - 1996

lunedì 11 febbraio 2013

"La caduta", olio su tela di Gianluca Salvati | Franco Chirico & Kiko Arguello - Piero Golia

Nel dicembre del 1995 ero convalescente da un intervento chirurgico dovuto a peritonite e avevo ricominciato a dipingere. Il primo quadro cui misi mano fu un lavoro nuovo, la cui novità consisteva nell'utilizzare tre tele di diverso formato dislocate a distanze tali da comprendere l'immagine dinamica a cui facevo riferimento. L'immagine era la solita foto di calciatori presa dal giornale del lunedì, ma quella foto aveva un suo epos... 
Il quadro iniziato in quel dicembre del 1995, dopo l'intervento di peritonite, era La caduta.
Dopo un paio di mesi il quadro era bell'e terminato. Lo portai giù e lo attaccai alla parete dell'ingresso. Mi pareva che funzionasse, aveva un nonsoché...


In quel periodo, i miei genitori tennero un incontro con alcuni fratelli della comunità di neocatecumeni. Franco Chirico era il responsabile di quella comunità di cammino neocatecumenale, ma lì, quella sera, non c'era. In tutto c'erano sei o sette persone, compresi i miei genitori. Quando tornai da fuori incassai i complimenti entusiasti di un loro fratello di comunità. Quel signore si era talmente incantato davanti al quadro La caduta che, stando al racconto dei miei genitori, aveva seguito le letture distrattamente. Dissi a quel signore che, qualora avessi partecipato ad una mostra, gli avrei fatto pervenire l'invito.
Franco Chirico, oltre ad essere il responsabile di quella comunità neocatecumentale è anche il principale editore di quel movimento fondato da Kiko Arguello. Per intenderci, Franco Chirico conosce Kiko Arguello personalmente.

Quando ebbi pronti un po' di lavori, nella primavera del 1996, li fotografai e li portai a vedere in accademia. Era il primo anno che Piero Golia frequentava il corso del Libero Nudo, dunque il lavoro lo mostrai anche a lui e non solo ai colleghi "storici" dell'accedemia. Nel complesso quel quadro La caduta riscontrava un certo favore, in particolare tra le persone del cui giudizio mi fidavo. Eppure, quando si trattò di propormi per una personale, nel giugno 1996, il prof dell'accademia scartò a priori quel quadro dall'esposizione. Senza dare spiegazioni, cosicché non mi capacitai del perché di quella scelta.
Il critico Arcangelo Izzo, quel gran testone, aveva addirittura messo in dubbio l'artisticità di quel mio lavoro: “Che significa?”, mi aveva chiesto. Ma era altrettanto vero che tutte le previsioni del suddetto capoccione si erano dimostrate meno consistenti di una bolla di sapone in una assolata giornata estiva: il riscontro della mia personale del 1996 non lasciava dubbi. Ciononostante il quadro La caduta è l'opera che non ho mai esposto.



lunedì 19 novembre 2012

Massoneria | Escuela Agustin Codazzi: "Nulla dies sine linea" | Bruno Teodori - Gli speciali del Corriere | Lucia Veronesi

Il cervello negli Usa, il cuore in Italia

"Nulla dies sine linea" - american staffordshire terrier

[...]  Bruno Teodori é il preside della scuola italiana “Agustin Cudazzi” di Caracas , una delle due piú grandi (l’altra é la “Bolivar y Garibaldi”) della capitale, in cui si studia la nostra lingua. Ma la “Cudazzi” é l’unica scuola italiana legalmente riconosciuta. Un osservatorio privilegiato perciò, quello di Teodori, per capire i giovani italovenezuelani.
«Soprattutto quelli della terza generazione hanno stabilito un legame molto forte con l’Italia», dice. «Ce ne accorgiamo dal numero crescente di iscrizioni. É un legame sentimentale che ha tante e intuibili motivazioni. Il richiamo razionale é esercitato invece dagli Stati Uniti».

Murales, acrilici su parete 2010 - Gianluca Salvati

In che senso? Teodori: «Nel senso che la presenza culturale ed economica gli Stati Uniti qui é altrettanto forte. Cosa vuole, sono al di là del Mare dei Caraibi, diciamo un’ora di volo. Moltissimi giovani, venezuelani toutcourt e italovenezuelani, vanno lì a studiare e inevitabilmente ne tornano influenzati, soprattutto dalle dinamiche economiche, e dai tanti aspetti del business possibile». E allora, preside? «E allora, possiamo dire che i giovani italovenezuelani hanno il cervello negli Stati Uniti e il cuore in Italia. Ma non considero questa circostanza una limitazione, anzi».
Perché? «Perché il pragmatismo statunitense unito alla fantasia, all’inventiva e alla sensibilità italiane possono tornare utili a tutti nel momento in cui questi giovani diventeranno dei manager: al Venezuela, agli Stati Uniti e all’Italia. Nell’epoca in cui sono tramontati i nazionalismi culturali e sono stati abbattuti gli steccati ideologici, dobbiamo pensare a un nuovo soggetto sociale che abbia in sè il meglio del passato e il meglio del futuro. Mi sembra che i giovani italovenezuelani, con il cervello negli States e il cuore in Italia, rappresentino quello che cerchiamo».

Paseo por la calle, olio su tela 1997 - Gianluca Salvati

Nella notte tropicale l’aereo fa un lungo giro prima di imboccare la rotta per l’Australia. Caracas è laggiù, foresta di luci che si allontana. La Svizzera dei Caraibi cerca di uscire dalla stagione dei rimpianti: lo fa scommettendo ancora sugli italiani. Solo che questa volta toccherà ai figli e ai nipoti rincorrere il futuro.

La caduta, olio su tela 1996 -  Gianluca Salvati

gianluca salvati

gianluca salvati
Gianluca Salvati - Lotta di cani

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