Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.
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martedì 6 dicembre 2016

Sassofonista, olio su tela 1997

Impara tutto ciò che puoi sulla musica e sul tuo strumento; poi dimentica tutto e suona come senti di dover suonare.
Charlie Parker


Sassofonista, olio su tela 1996 - opera lodata da Piero Golia 

sabato 10 ottobre 2015

Storia di un quadro | Senza titolo, olio su tela

Disegno: procedimento compositivo che può rappre­sentare un'opera d'arte in sé o la fase preparatoria o iniziale di un'opera, sia pittorica, che scultorea che architettonica. In pittura, il D. è integrato al processo operativo sia nella sua forma di fase preliminare sia nel suo aspetto compiuto di contorno delle forme. I pittori del Trecento e del Quattrocento erano soliti tracciare sulla tavola le linee di contorno, all'interno delle quali stendevano successivamente il colore. Per gli affreschi, essi realizzavano le sinopie (le preparazioni con ocra rossa del D.), che costituivano allo stesso tempo il progetto e la fase iniziale dell'opera. In una figurazione dipinta, è estremamente difficile stabilire dove finisca il D. ed inizi la pittura, poiché anche lo spessore del tratto di contorno può rappresentare una macchia di colore e anche il colore può essere ridotto a linea ed ha, comun­que, un limite di contorno, un margine lineare. Ciò non ha impedito, nella storia della pittura, un dibattito stilistico tra i sostenitori della prevalenza del D., cioè della linea, sul colore e i sostenitori della prevalenza del colore sulla linea. Ne è un esempio la contrapposizione tra Ingres e Delacroix: il primo sostiene che il «D. è la probità dell'arte» e staglia le forme in contorni nitidi e chiari; il secondo sostiene che «il pregio del quadro sta nell'indefinibile» e che «la fredda esattezza non costitui­sce l'arte». 
Questa contrappo­sizione rappresenta anche la base della diversità dell'e­stetica neoclassicista rispetto a quella romantica: per la prima, la precisione della linea incarna il bisogno di rigore e di ordine; per la seconda, il colore costituisce il mezzo per esprimere la carica emozionale e sentimenta­le dell'artista. Ma non si deve pensare che l'identificazione della linea con il razionali­smo e del colore con il soggettivismo sia un elemento definitivo nella storia della pittura; essa rappresenta piuttosto una tendenza che può talora emergere, ma non un canone scontato. Esistono, ad esempio, pittori come Toulouse-Lautrec, Rousseau, Matisse e Dalì, che si servono di contorni esatti e nitidi per esprimere il proprio mondo interiore ed irrazionale.
 Scrittori e opere, Marchese Grillini


senza titolo, olio su tela 1996 - Gianluca Salvati

domenica 2 agosto 2015

Zoran Music, le immagini e il vento

È strano come le Sue immagini mi ricordino il vento...

Il vento spazza via le cose, e l'uomo può soltanto esserne travolto.

 Avrei una bella pretesa se volessi sostituirmi al vento: ci riescono soltanto i grandissimi artisti, come Giorgione, Bellini, Picasso. Sono stati uragani che hanno cambiato il mondo della pittura, che lo hanno trasformato. Quanto a me, mi accontenterei di essere ricordato come una leggera brezza.

Zoran Music - Dialogo con l'autoritratto, Paolo Levi

 


Autoritratto, olio su tela Zoran Music

domenica 22 febbraio 2015

Visita a Burri con Massimo Bignardi | Città di Castello: il cellotex danneggiato

Quando frequentavo il corso di Nudo all'accademia di Belle Arti di Napoli, ho preso parte a diverse gite e viaggi d'istruzione a musei e fondazioni. Una di queste, nel marzo 1994, riguardava la Fondazione Burri a Città di Castello. La organizzava il professor Massimo Bignardi, insegnante di storia dell'arte all'accademia.
Essendo il viaggio della durata di un solo giorno, la partenza era prevista prima delle 8.00. C'era stata una discreta adesione alla gita, si partiva con due pullman. Massimo Bignardi era sul mio autobus. Ricordo che parlava della situazione politica del momento: non c'erano più i riferimenti degli anni prima del 1992. Rimanevano in piedi i sindacati. E poi di punto in bianco fece una tirata positiva su Mediaset, in particolare: il prof Bignardi aveva fatto richiesta di contributi per una non meglio precisata mostra e a Rete Quattro aveva trovato persone disponibili che avevano soddisfatto la richiesta senza battere ciglio.  Dall'arte alla politica
Non riuscivo a trovare il nesso tra Rete Quattro e l'arte, forse provando ad anagrammare le parole qualcosa dovrebbe venir fuori...

Il mese prima, avevo ascoltato una conferenza di Vittorio Sgarbi all'hotel Vesuvio. L'onorevole presentava una nuova lista politica... e durante la conferenza prese a parlare di arte.  
Dalla politica all'arte... 
Di lì a poco ci sarebbero state le elezioni che avrebbero visto la vittoria del noto piduista nonché monopolista televisivo, Silvio Berlusconi...

Era una bella giornata e il viaggio fino a Perugia fu piacevole. Visitammo la fondazione, dove erano esposte opere con le varie fasi dell'artista il quale era una fascista e non ne ha mai fatto mistero (ma amo da sempre la sua opera, al di fuori delle pitture...).
Si era alla fase in cui Burri lavorava con la fiamma dei cellophane, plasmandoli secondo le sue esigenze, senza usare neanche una mascherina di protezione dai fumi.

Alberto Burri lavora un cellotex - foto Aurelio Amendola

A un certo punto l'addetta alla fondazione si accorse che un cellotex di Burri era stato danneggiato. Pare che un allievo dell'accademia per fare uno scherzo si sia accorto che da un quadro cadeva un lembo di cellophane.
Mentre si stabiliva cosa era accaduto, continuai a guardarmi la mostra. Quando raggiunsi il gruppo, stavano ancora discutendo, ma stavolta c'era anche un signore alto e piuttosto anziano, gli avrei dato dagli 80 ai 90 anni, ma forse ne aveva di più. Il ragazzo che aveva scherzato vicino al quadro, un certo Dario, sembrava piuttosto allarmato per come si erano messe le cose. Il vecchio diceva: -Ora che lo saprà l'artista... 
Il valore di quel quadro danneggiato era 300 milioni di vecchie lire. Il ragazzo si era messo in un bel guaio. Qualcuno lo prendeva  in giro, (è risaputo che i napoletani hanno sempre voglia di scherzare): "Ora devi dargli 300 milioni!" A quel punto il professor Bignardi, che scriveva anche per Repubblica (sezione Napoli e provincia), minacciò il vecchio dicendogli che avrebbe scritto sul giornale del pessimo trattamento subito solo perché napoletani (di Napoli e provincia). 
Il vecchio rispose con la sua voce baritonale: -Ci mancava solo questo... 
Quelle parole dovevano avere il valore di un congedo, perché noialtri andammo via. Ripartimmo, direzione Tuoro, sul lago Trasimeno, dove torreggiavano le sculture di Burri con una disposizione che mi ricordava Stonehenge. Alle 7 della sera prendemmo la via del ritorno.
Il pullman era assai stratificato, c'arano i casinisti, quelli che cantavano, e c'erano persone più cerebrali e silenziose. Non mancava qualche figliola carina. Massimo Bignardi era sul nostro pullman, ma all'ultima sosta, durante il rifornimento di gasolio, scese per andare sull'altro pullman.
Era piuttosto tardi, ed eravamo in forte ritardo rispetto alla tabella di marcia. Prima della partenza l'autista imprecò contro il prof e lanciò il pullman (c'era ancora il cambio delle marce manuale) in uno sprint da formula uno. Poi, per fortuna mantenne un'andatura entro i limiti del buonsenso.
Non molto tempo dopo, però, cominciò a ciondolargli la testa. La qual cosa non prometteva nulla di buono. Ora, di un intero pullman nessuno se ne accorse. O almeno questa fu la sensazione che ricevetti: ciascuno continuava nelle proprie discussioni o attività. Solo io e una ragazza, un bel pezzo di figliola seduta davanti che era rimasta dritta a guardarlo ma senza dir niente, come ipnotizzata, eravamo gli unici consapevoli delle condizioni critiche del conducente. Ad ogni modo mi andai a sedere proprio a fianco del guidatore, forse chiesi a qualcuno di cedermi il posto. L'autista lottava senza fortuna con il sonno, le palpebre gli calavano pesantemente sugli occhi, anche se teneva bene la strada. Decisi di agire in maniera soft, senza allarmarlo. Ero capacissimo di tenergli il volante qualora ne perdesse il controllo, cosicché rimasi lì di vedetta: un occhio a lui e uno alla strada. Non appena capivo che lo stavo perdendo, prendevo a parlargli, facendogli qualche domanda. 
Il giovane, non aveva più di trent'anni, anche se piuttosto conciato, rispondeva bene agli stimoli sonori. E il viaggio proseguì tranquillo fino a Napoli all'una di notte, quando l'autista aveva riacquistato una forma decente.

sabato 21 febbraio 2015

Carmine Di Ruggiero e Giuseppe Pirozzi | Villa Faggella a Capodimonte

Nei primi anni novanta, in pieno rinascimento napoletano, presero piede alcune iniziative mirate a valorizzare il patrimonio storico-artistico di Napoli. La manifestazione più nota è "Maggio dei monumenti": periodo nel quale si dava la possibilità di visionare opere artistiche o visitare siti storici, non accessibili durante l'anno.
Un'altra iniziativa degna di lode, invece, riguardava gli atelier di pittori, scultori, ceramisti, ecc. che operavano nel napoletano. Durante un fine settimana si poteva accedere agli studi di quegli artisti.
Fu in una di queste occasioni che conobbi Carmine Di Ruggiero.
Carmine Di Ruggiero è un pittore assai interessante: materico e solare. Dei pittori napoletani è decisamente il mio preferito. Il maestro aveva lo studio in una antica villa nei pressi della bosco di Capodimonte, villa Faggella. L'ingegner Faggella, proprietario dell'immobile, fittava gli spazi della villa unicamente agli artisti.
Già nel 1992 avevo visitato, con alcuni colleghi di corso, lo studio del professor Giuseppe Pirozzi a villa Faggella. Giuseppe Pirozzi, scultore, insegnava disegno al corso di Nudo dell'accademia di belle arti durante il mio primo anno di frequenza.

Durante un fine settimana dei primi mesi del 1995, tra febbraio e marzo, ci fu la seconda edizione di Atelier aperti. Tra gli artisti che avevano aderito all'iniziativa figurava anche Carmine Di Ruggiero. Non potevo chiedere di meglio. Epperò c'era un problema: quel fine settimana ero influenzato e stavo decisamente male. Non era il caso di muoversi, tra l'altro soffiava un vento freddo che era tutto un programma...
Il sabato me ne restai a casa a recuperare, ma anche il giorno dopo ero assai conciato: stavo in piedi per scommessa. 
Mi feci un paio di calcoli, soppesai i pro e i contro, risultato: quando mi sarebbe ricapitato? Dunque mi preparai e andai a sfidare il vento siberiano.
Mi incamminai a piedi perché non era il caso di mettersi a guidare in quelle condizioni. 

Anche se non era molto distante da casa mia il percorso sembrava interminabile. Per questo motivo più che una visita d'istruzione mi parve di compiere un pellegrinaggio.
Giunto a destinazione, vidi che c'erano anche altri studi aperti, come quello di De Tora al pian terreno. Visitai quelle ampie sale dove si esponevano pittura astratte peraltro piuttosto ripetitive. Quando salii dal maestro, avrei dovuto pensarci, non gli feci una buona impressione. Mi domandò se gli altri artisti avevano aperto gli studi. Gli risposi di si, li avevo appena visitati. Mi disse che voleva approfittare dell'occasione per darci un'occhiata. L'accompagnai a visitare gli altri studi. Lì, il maestro si fermò a parlare con De Tora e Dalisi.
Tempo dopo, finalmente, andammo a visitare il suo studio e ad ammirare i suoi lavori. Confermavo il giudizio che avevo sulla sua produzione, anzi visti dal vero quei lavori erano ancora più vividi e solari. Mi lasciavano senza parole. In quei quadri il maestro catturava la luce di giornate ventose e limpide come quella domenica sulla collina di Capodimonte.
Durante la conversazione con gli altri due, operatori estetici, Di Ruggiero mi disse che, se volevo, potevo intervenire nella conversazione. Gli risposi che preferivo ascoltare. 
Il maestro fu soddisfatto dalla risposta. Ad un certo momento i due ospiti si congedarono e Di Ruggiero mi fece qualche domanda. Gli dissi che ero iscritto al corso di Nudo dell'accademia. "Ah, con Gerardo...", disse.
Mi chiese se ero tra i partecipanti al premio della libreria Guida. Risposi affermativemente. "Sei tu che hai fatto quella specie di scimmia, quel cane..?". Ridendo gli dissi che ero io l'autore del cane. Il maestro si fece serio e sentenziò: "Bello!".


Fox, tempera su cartone - Gianluca Salvati 1994

Il premio non era ancora concluso, c'era stata una prima selezione verso novembre, ed io e i miei colleghi l'avevamo superata. Sapevo che il quadro principale funzionava, ma sentirlo dire da uno della giuria, un vero e proprio talento, faceva tutt'altro effetto.
Quando lo salutai, il maestro mi disse di andarlo a trovare in accademia (ci poteva contare).
Il ritorno a casa fu decisamente più lieve dell'andata.

domenica 25 gennaio 2015

Armando De Stefano a Spazio Arte

Nella seconda metà di aprile del 1999, Paolo Mamone Capria stava curando il catalogo dell'opera di Armando De Stefano. In quel periodo esponevo la mia "prima personale" da Spazio Arte (la "primissima" personale l'avevo tenuta 3 anni addietro in un bar poco distante). Così, una sera Paolo si presentò col mitico pittore napoletano: quello che con la pittura si era arricchito (a Napoli, per giunta).
C'è da dire che il talento di Armando De Stefano è innegabile già dalla sua prima produzione, dunque il merito al successo è ampiamente riconosciuto. Che poi l'artista ad un certo punto della sua carriera abbia preso a ripetersi, come piace al mercato, resta un dettaglio.
Diverso è il caso di quelli, che in assenza di talento o grazie a non meglio precisati talenti, vanno avanti, per così dire, baciati dal regime...
Il mondo è pieno di gente così. Io stesso ne ho conosciuti.
Tornando ad Armando De Stefano, fu un vero onore annoverarlo tra i notabili della scena artistica napoletana che si erano affacciati alla mia personale. Dal prof dell'accademia Massimo Bignardi, tanto per citarne qualcuno, all'editore Tullio Pironti, che si presentò una mattina parlando con un accompagnatore. Fece un giro nell'ampia sala guardando i quadri uno ad uno, sempre interloquendo col suo conoscente che lo seguiva al fianco. E sempre dialogando se ne uscirono, così com'erano entrati.
Mi pareva la versione riveduta e corretta della scuola peripatetica
E, ancora meglio, mi ricorda un'intervista a Massimo Troisi, dove il comico partenopeo parlava della funzione dell'arte e più in particolare del ruolo dell'attore.
Ebbene: secondo Massimo Troisi, l'attore ideale era americano (statunitense ndr.), perché, qualunque cosa facciano, parlano e parlano.
Portava l'esempio dello statunitense medio che rincasa. Saluta la moglie e comincia a parlare. Si dirige in cucina dialogando: domanda, risponde, racconta. Apre il frigo, cerca qualcosa da bere e continua ad articolare parole e frasi con la consorte che si trova nell'altra stanza.
Questa era, per massimo Troisi, la quintessenza di un attore: un tipo loquace, a prescidere da ciò che fa.

Paolo Mamone Capria è un signore nato. Sapevo che stava curando il catalogo per Armando De Stefano, dato che lui non ha mai fatto mistero delle sue attività. Ma non credevo che portasse l'artista alla mia personale.
Fu una vera sorpresa. 

Era grazie a Paolo se e il gruppo dei "Fab Four", come lo chiamavo scherzosamente io, stava in piedi.
Ma la parte più bella di questa storia è che il maestro Armando De Stefano ritornò alla mia mostra, sempre con Paolo Mamone. Quando mi salutò, disse che lo invitavano spesso vernissage e inaugurazioni di mostre... ma c'era un solo motivo che lo spingeva a ritornare ad un'esposizione: perché i quadri gli erano piaciuti.


Discobolo, olio su tela - Gianluca Salvati 1999


domenica 30 novembre 2014

Arte contemporanea: Human, collage | Quattro ballate gialle, Federico Garcia Lorca


 IV  Sopra il cielo delle margherite cammino

Stasera immagino
d'essere santo.
Mi posero la luna
in mano.
Io la riposi
negli spazi
e il Signore mi premiò
con la rosa e il nimbo.

Sopra il cielo
delle margherite cammino.

Ed ora me ne vado
per questi campi
a liberare le ragazze
dai cattivi innamorati
e a regalar monete d'oro
a tutti i bambini.

Sopra il cielo
delle margherite cammino.

                                       Federico Garcia Lorca


Human, collage su carta - Gianluca Salvati 2004


domenica 5 ottobre 2014

Augusto Perez e Paolo La Motta | Il maestro e l'allievo

Alla mostra collettiva del '99 venne anche Augusto Perez, uno degli scultori figurativi più interessanti degli ultimi anni. Il maestro era stato insegnante di scultura di Paolo La Motta all'accademia di Belle Arti. Augusto Perez era siciliano, stimatissimo da Guttuso che lo voleva a Roma, dove avrebbe avuto ben altri riscontri. Ma lui aveva scelto Napoli perché era la città più vicina alla sua sensibilità.
Paolo La Motta era stato suo allievo, come già detto, e quando si dice dell'allievo che supera il maestro... ecco: quella metafora non fa al caso nostro. 
Non solo, ma sfortunatamente per Paolo La Motta, l'allievo non è arrivato neanche ad eguagliare il maestro. Neanche molto alla lontana. 
Diciamo che quella distanza iniziale, tra l'allievo e il maestro, è rimasta invariata.
 
L'ultima volta che ho fatto visita alla casa-studio di Paolo La Motta, nell'aprile del 2008, mi si è confermata un'idea che già avevo sulla sua produzione e su di lui. Paolo La Motta brancola nel buio, letteralmente, non sapendo che stile, filone, via, sentiero (per quanto scosceso), o scorciatoia seguire, e a chi accodarsi per giustificare il proprio "essere artista".

Un dusegno di Augusto Perez, grafite su formica

Del grande Augusto Perez ricordo una fenomenale mostra al Palazzo Reale di Napoli nel 1992. Una mostra bella da togliere il fiato. Tutto il resto è patetica decorazione.

martedì 8 luglio 2014

Alessandro Papari e Paolo La Motta

Alessandro Papari, io e Paolo La Motta

Di gruppo si parlò, in forma ipotetica, nel 1996, nel periodo della mia primissima collettiva al bar di Port'Alba. L'idea di esporre con altre persone partì da Paolo Mamone Capria che frequentavo da qualche tempo. Alessandro Papari aveva esposto nello stesso bar poco dopo di me, ci si incrociava spesso. Era frequente vedere esposizioni di pittura in quel bar: a fine anno accademico gli allievi di Belle Arti esibivano i loro lavori e durante tutto l'anno c'era sempre qualcuno che esponeva, sia professionisti sia dilettanti.
Paolo Mamone era strabiliato dalla tecnica del Papari. Io preferivo di gran lunga i lavori dei miei colleghi dei piani bassi dell'accademia, quelli del corso di Nudo. Loro producevano quadri meno tecnici ma assai più freschi e vibranti. Purtroppo non si poteva organizzare quasi niente con questi ultimi, a parte la mostra di fine anno sollecitata dal prof. Ed era un vero peccato! Così mi abituai all'idea di esporre col Papari, anche se trovavo i suoi lavori troppo virtuosistici e decisamente troppo tradizionali: mi lasciavano perplesso. Era assai distante dalla mia idea di arte.
L'occasione di cominciare ad esporre insieme ad altri si concretizzò solo nel settembre 1998, con l'apertura dell'associazione culturale Spazio Arte in via Costantinopoli, proprio di fronte all'Accademia di Belle Arti. Ero ancora in vacanza dalle parti di Favignana quando mi telefonarono per chiedermi che quadri avrei voluto esporre: adoro queste cose. Paolo Mamone aveva organizzato la mostra collettiva che auspicava da tempo. Era il momento di rientrare a Napoli. Tornai per il giorno dell'inaugurazione. Alla collettiva c'era il Papari che si era tirato dietro lo scultore Paolo La Motta, un personaggio taciturno che conoscevo di vista da almeno otto anni. 
Paolo La Motta e Alessandro Papari in quel periodo facevano coppia fissa, sembravano due inseparabili. Cosicché il gruppo era diventato di quattro elementi. 
Esponendo insieme e frequentandoci, si aprì un certo margine di discussione e confronto. Almeno per chi fra noi prospettava una reale riflessione sul proprio lavoro, dato che ciascuno era molto radicato sulle proprie posizioni e poco incline a vagliarle. 
Anche in galleria però, potevi incontrare persone interessanti con cui avere proficui scambi di opinioni.
Nel mio caso, quel periodo che per certi versi si è prolungato fino al 2007, è stato molto produttivo. Sia sul piano tecnico, sia su quello poetico, avendo compreso le differenze che mi separavano dagli altri componenti del gruppo.

venerdì 4 luglio 2014

Alessandro Papari e il disegno a mano libera | Pittura e tecnologia

Col Papari si parlava spesso di utilizzare il proiettore per la realizzazione del disegno su tela. Lui ad un certo punto si è attrezzato (il Papari è un ragazzo volenteroso). A me l'idea piaceva, ma fino ad un certo punto. In realtà sono a favore di un disegno a mano molto libera. Così come sono contrario anche a sistemi di ingrandimento e riproduzione quali la quadrettatura. Non ho mai affrontato grandi superfici con la pittura figurativa, quindi il mio parere è relativo. 

"Eh?!", tecnica mista su carta stampata - Gianluca Salvati 2013

Ma sono contrario all'utilizzo di proiettori per i lavori realizzati su tela fino ad un formato di 2 metri di altezza per un paio di larghezza. Anche il Papari, dopo averne sperimentato i risultati su un quadro, sul proiettore è stato molto chiaro: non ha nulla a che vedere con la caratterizzazione che dà il disegno a mano libera. Il cui valore resta incomparabile, nonostante gli strabilianti progressi della tecnologia attuale. Il disegno rappresenta il non plus ultra della creatività per l'artista plastico, specialmente oggi che le riproduzioni fotografiche sono alla portata di chiunque.


Cow boy, pennarelli su carta - Gianluca Salvati 2013

giovedì 12 giugno 2014

La ragazza di Piero Armenti e il disegno a linea continua | L'artista di Bellas Artes

Tra i miei luoghi preferiti a Caracas, c'era la zona di Bellas Artes, coi suoi musei (gratuiti), mercatini di artigianato e un parco verde abbastanza grande e ben tenuto. Quando cominciai a frequentare la ragazza di Piero Armenti, capitava spesso che ci incontrassimo a Bellas Artes. Un pomeriggio eravamo seduti ai tavolini di un bar nei pressi della fermata di Bellas Artes della metro, quando ci avvicinò una signora che lei conosceva e ci propose un ritratto a linea continua. La ragazza di Piero Armenti disse che andava bene, così la signora, che per me era una ragazza, andò a procurarsi un foglio.

Venne e prese a disegnare con una biro verde, senza staccare la punta dal foglio. 



Disegno a linea continua con la ragazza di Piero Armenti, Caracas 2006

Prima disegnò la mia testa, una montagna, poteva essere il monte Avila, che sovrasta Caracas. Poi disegnò lei in lontananza, i suoi capelli diventavano uccelli e poi mare e  palme. Il paesaggio tropicale con noi due.

C'era inoltre un altro occhio sopra le rocce dell'Avila, che in un primo momento avevo interpretato in chiave cubista, come il mio stesso occhio visto di fronte; invece è l'occhio di qualcuno che si nasconde o guarda da lontano. Ed è un occhio chiaro, ceruleo.

Se dovessi dire a chi appartiene quell'occhio, nella ristretta cerchia di persone che frequentavo a Caracas, credo che sceglierei proprio Piero Armenti.
Ma era questo il messaggio di quel disegno a linea continua?  Vediamo... 

Dal nome latino Petrus, tratto a sua volta dal greco Petros, col significato di pietra (dal termine petra, comune a entrambe le lingue). Il nome greco, dal canto suo, è la traduzione dell'aramaico Kephas, che, tratto dal termine kefa, significa per l'appunto pietra, roccia. È quindi analogo per semantica al prenome Sten.
Questo nome, storicamente, affonda le sue radici nel Cristianesimo e in particolar modo nel culto di San Pietro, ritenuto essere il primo papa dalla Chiesa cattolica. Proprio a lui si lega l'origine del nome Pietro, che, come sostenuto dagli apostoli Matteo e Giovanni, venne così chiamato dallo stesso Gesù Cristo: celebre è il passo del Vangelo di Matteo in cui Gesù dice a Pietro "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa".
A proposito delle varianti del nome, Piero e Piera si sono già formati a partire dal Medioevo (vedi Piero). Le forme Petro e Petra, invece, sono in parte dovute all'influenza del latino ecclesiastico, soprattutto nel Meridione. La forma femminile Pietra può derivare dalla devozione per "Maria Santissima della Pietra", patrona di Chiaravalle Centrale.
 


Sembrerebbe proprio di si: quell'artista di strada mi stava dicendo, tramite quella sorta di rebus a linea continua, che la ragazza che stavo frequentando era un'esca per tenermi sotto controllo.

Quando ebbe terminato, la ragazza di Piero Armenti la pagò, direi piuttosto bene, e fu anche molto gentile con l'artista di strada. Quando la signora andò via, lei mi raccontò la sua storia. Era un'artista di strada in quanto viveva per strada ed era malata: aveva un tumore all'orecchio, quando ci aveva avvicinato aveva parlato di comprare delle medicine. 
Alla fine lei concluse che il disegno dovevo tenerlo io. E così fu. 
Ma non credevo che un disegno potesse essere così importante.
Di lì a un mese, la ragazza di Piero Armenti mi riportò la notizia della morte di quella signora che in realtà era ancora una ragazza. Non credo avesse più di 30 anni.
Poco tempo dopo, "il mago", un suo conoscente, amico di Piero Armenti, fece girare voce che voleva le foto dei suoi disegni, per farne un non meglio precisato "archivio". 
Anche il nostro ritratto a linea continua, era sottinteso. La riproduzione non l'ha mai vista, almeno fino ad oggi...

venerdì 8 novembre 2013

Storia di un quadro | Arte e impegno di Carlos Fuentes

Personalmente non credo alla figura dello scrittore “impegnato”, così come credo che nessun artista possa essere obbligato a prendere una posizione.
Ritengo che uno scrittore soddisfi i propri obblighi morali nel momento in cui riesce a mantenere vitale la propria immaginazione e il proprio linguaggio. I primi atti compiuti da Hitler, Stalin e gli altri tiranni sono stati quelli di mettere al bando la scrittura e la libera stampa: non c’è nulla che un dittatore teme maggiormente dell’immaginazione. Uno dei motivi per cui sono particolarmente felice per il premio Nobel attribuito a Günter Grass è l’implicito riconoscimento per lo straordinario lavoro di restauro e di rivitalizzazione che lui ha compiuto attraverso l’immaginazione su una lingua mortificata da un periodo di barbarie. È esattamente questo il fine ultimo che dovrebbe avere uno scrittore in campo politico, e a questo riguardo ci sono esempi illuminanti da parte di autori che hanno preso posizioni in apparenza più distaccate: pensi a Balzac che si dichiarava reazionario e monarchico, ma attraverso la sua scrittura, e il mondo che ha descritto in maniera indimenticabile, ha influenzato milioni di persone che hanno fatto scelte politiche diverse dalle sue, non ultimo Karl Marx.  Non esistono regole fisse sul ruolo dello scrittore, né della letteratura.
[…]  Io sono tra coloro che pensano che il modo migliore per essere realmente universali è rimanere fedeli alle proprie radici.  Questo non significa che bisogna rimanere all’interno degli orizzonti del proprio paese: credo che il mondo moderno inviti chiunque a partecipare della cultura altrui, a condizione di non snaturare la propria.
Carlos Fuentes

Violencellista, olio su tela - 1998

sabato 2 novembre 2013

Storia di un quadro | Mail art - genesi di una tecnica nomade | Il capo degli spioni in Marocco

La mail art ha rappresentato una valida alternativa alla pittura in Marocco. Non che mi mancassero lo spazio o i mezzi, ma avevo un tempo molto risicato da dedicare all'arte, cosicché iniziai a evitare tutte le procedure laboriose del dipingere, riducendo la pratica al disegno colorato e al collage. Forbici e pennarelli, carta e colla. Una tecnica nomade: economia di mezzi utilizzando uno spazio minimo. 
I commenti di chi riceveva le mie cartoline erano spesso entusiastici: i conoscenti rimanevano di stucco. In realtà ho un'antica passione per la carta e il collage. Questo è uno dei motivi che mi fa amare da sempre i lavori di Matisse. Ma lo spunto per le cartoline delle mail art mi venne da un servizio giornalistico su una mostra di John Lennon tenutasi a Londra anni fa. L'esposizione riguardava le cartoline inviate dall'ex Beatles ai suoi conoscenti, i testi delle cartoline erano vivacizzati da divertenti trovate grafiche o fumettistiche. John Lennon aveva frequentato il liceo artistico in un'epoca di grande creatività. In quegli anni a Londra c'è stata l'esplosione della cultura pop, un'autentica rivoluzione stilistica i cui riflessi si riverberano tutt'oggi. Tra l'altro, la cover di Sgt. Pepper's dei Fab Four è dell'artista Peter Blake, il loro White Album di Richard Hamilton. Oltre ai Beatles anche altre star della musica, come i Rolling Stones e i Sex Pistols, si nutrirono delle immagini create nelle accademie di belle arti: vere e proprie fucine di cultura. 
Le cartoline di John Lennon erano un ottimo esempio di arte formato mini, cosicché cominciai a creare cartoline ex-novo partendo dal cartone grezzo, a differenza dell'autore di Imagine che utilizzava le cartoline comuni. Il tutto andò avanti finché non mi accorsi che le mie mail art non giungevano più a destinazione: dovevano essere incappate in appassionati d'arte durante il percorso... A quel punto smisi con le mail art: lavorare gratis per l'arte va bene, ma lavorare a favore di ignoti, no, proprio non va bene...

ps  dimenticavo di aggiungere che quando lavoravo in Marocco (la scuola era all'interno del Consolato italiano) ho conosciuto i due responsabili dei servizi segreti dell'ambasciata italiana di Rabat. Entrambi mi sono stati casualmente presentati dalla stessa persona, ovvero colui che mi aveva chiamato a lavorare alla scuola italiana di Casablanca: Raffaele Vitalone, direttore con nomina Mae (Ministero degli Affari Esteri) di quella scuola. 
Il responsabile dei servizi segreti dell'ambasciata è uno solo, ed io ho conosciuto sia il signore che ne ha ricoperto l'incarico dal 1995 al dicembre 2003, sia il suo successore, presentatomi dal direttore nel gennaio 2004.

 

domenica 9 giugno 2013

Piero Golia interpreta un mio quadro | Omaggio al "finto disinvolto", Accademia di Belle Arti di Napoli - 9 giugno 1997

Rispetto al gruppo del corso di disegno, il gruppo cosiddetto degli anarchici, Piero Golia ha sempre fatto categoria a sé, e non perché fosse questo gran genio, al contrario...  
Piero Golia aveva un modo di relazionarsi agli altri piuttosto insolito. Ad esempio arrossiva con estrema facilità e in maniera impressionante: mai visto qualcuno arrossire a quel modo. Piero Golia dava l'idea di non essere mai davvero a proprio agio, anche se le persone che frequentavano il corso erano le più pacifiche di questo mondo. Piero Golia arrossiva e poi, per mascherare il suo imbarazzo, si gettava in performance o battute di dubbio gusto.
Nella foto di questo post, Piero Golia, fumatore compulsivo, si improvvisa performer di un mio lavoro... No comment. 
Omaggio a Piero Golia, il finto disinvolto.  

Piero Golia interpreta un mio quadro

lunedì 3 giugno 2013

Storia di un quadro: "Bianca", pastelli su tavola 1996 | Gli anarchici del Nudo e Piero Golia

La pittura, come la intendo io, è principalmente materia e stratificazione. In tal modo, anche se la pittura si svolge nello spazio, rende bene sia l'idea del tempo, sia della memoria. Così, nel 1996, cominciai ad interessarmi alle tavole che utilizzavamo per i disegni all'accademia. Queste tavole erano in legno, materiale che risponde benissimo alla pittura materica, inoltre avevano superfici decisamente vissute: segnate dai colori e patinate dal tempo. Il primo lavoro che tirai fuori fu Bianca, uno studio a pastelli della modella.

Piero Golia c'era... era infatti il primo anno che Piero Golia si era aggiunto al gruppo "storico" , ovvero a coloro che lavoravano da qualche anno al corso di nudo dell'accademia di belle arti di Napoli. Quel nucleo era noto ai piani alti dell'accademia, come "gli anarchici"
Così si era definiti dagli studenti e dai prof dei corsi ufficiali: pittura, scultura, decorazione e scenografia. Dal 1994, però, il gruppo degli anarchici aveva cominciato a far parlare di sé, infatti quell'aggregato di personalità e percorsi tanto diversi, me compreso, cominciava a dare i suoi frutti...

Tornando alle tavole, dopo quel primo esperimento a pastelli, cominciai a dargli dentro con la pittura, imbrattando buona parte delle tavole disponibili. 
La pacchia durò finché il prof non mi disse di smetterla. Al che risposi: "Obbedisco!"

Bianca, gessetti su tavola 1996  - Gianluca Salvati



sabato 23 febbraio 2013

Norberto Bobbio, di Giovanni Spadolini: Gli uomini che fecero l'Italia


GIOVANNI SPADOLINI ebbe in mente sin da quando era adolescente un libro “leggibile e non esclusivamente accademico” che servisse da “guida dei protagonisti del riscatto nazionale”. Lo compose a poco a poco lungo gli anni, aggiungendo a ogni nuova edizione altri ritratti. I primi erano già apparsi nel volume Autunno del Risorgimento (1971); i successivi, più numerosi, furono aggiunti nella prima edizione di questo libro, in due volumi, il primo dedicato all'Ottocento, il secondo al Novecento, usciti nel 1972. L'ultima edizione in un solo volume, sottotitolata La storia di una nazione attraverso i ritratti di 112 protagonisti, e indicata come definitiva, è apparsa nella primavera del 1993. Un'opera, come lo stesso Spadolini l'ha definita, “per tanti aspetti conclusiva delle mie ultraquarantennali ricerche sull'idea dell'Italia e sulla storia d'Italia”.
“Definitiva” l'ultima edizione, in quanto la galleria dei ritratti era da considerarsi compiuta, ma nello stesso tempo anche opera “aperta”, anzi “infinita”, perché in una concezione liberale della storia, ispirata alla “religione della libertà e del dubbio”, nessuna opera umana è mai compiuta. Soprattutto per chi è chiamato a riflettere sulla storia d'Italia, di cui nell'ultimo suo discorso pronunziato in Senato, poco prima della morte, disse che è “la storia di una nazione che si è costruita gradualmente in base ad un'identità di lingua e di cultura, che ha preceduto di secoli la formazione dello Stato, in un processo che appare miracoloso, ma che in realtà è stato faticoso, contraddittorio, spesso paradossale, pieno di sacrifici, in gran parte deludente (Risorgimento senza eroi, come avrebbe detto il nostro Gobetti)”.

A Gobetti, alla visione storica e politica dell'autore di Risorgimento senza eroi, Spadolini cominciò ad accostarsi sin dai precocissimi passi compiuti nell'apprendimento del mestiere di storico. Nell'ultima prefazione di questo libro, datata marzo 1993, attribuisce all'insegnamento gobettiano l'inclinazione “a tutto rivedere, a tutto ripensare, a tutto ridiscutere, senza l'aiuto di alcuna liturgia, senza lo scenario di alcuna terra promessa”. Scrive ancora in Gobetti. Un'idea dell'Italia che non c'era nel giovane scrittore un uso del termine liberale nel senso opposto alla convenzione e alla tradizione e la sua era una rivoluzione liberale che non essendoci mai stata nel nostro Paese doveva essere proiettata verso il futuro. Ancora una citazione: “Contro tutti i compromessi tradizionali della storia italiana... Gobetti richiamò al coraggio dei propri ideali, all'assunzione delle proprie responsabilità e dell'eroismo del proprio impegno”. Visione liberale, laica e, come avrebbe aggiunto Montale, “tragica” della nostra storia. Era questo senso tragico della storia che distingueva Gobetti dai cattolici e dai comunisti: “La sua modernità – così ancora Spadolini – consiste in un principio di eresia permanente, di non conformismo e di antidogmatismo, contro ogni concezione totalizzante, contro ogni residuo fideista”.



Norberto Bobbio, Gli uomini che fecero l'Italia di Giovanni Spadolini

Norberto Bobbio

sabato 9 febbraio 2013

"Ciclista", di Enrico Cajati | Un testo di Salvatore Vitagliano

[...] Nel ’67 la grande svolta. Enrico Cajati giunse alla determinazione di “mettere tutto sullo stesso piano”; appiattendo quindi quella superficie materica che aveva elaborato con tanti anni di sperimentazione e che lo aveva portato alla Biennale di Venezia (a 28 anni) e tornò a quella fonte originaria dove non più il caso ma la costruzione, la costanza, la tecnica, l’osservanza delle regole saranno principi  a cui cercherà di obbedire per tutto il resto della propria vita.
Ho detto “cercherà” perché un uomo del suo istinto e della sua immediatezza gestuale, musicale, dovette castigarsi notevolmente per raggiungere degli apprezzabili risultati, ma in questo castigo di uomo proiettato nel futuro che voleva raggiungere il passato, sta forse la chiave di tutta la sua grandezza. I suoi piccoli quadri informali divennero bozzetti di un lavoro futuro che ha del pazzesco; egli li cominciò a disegnare su fogli lucidi, poi procedeva allo spolvero e una volta riportato il disegno su tela, iniziava il lavoro di campitura, di chiaroscuro, di velature, e quando il risultato finale non lo soddisfaceva, ecco una tinta nuova ricoprire tutto e di nuovo un nuovo inizio e alla fine un nuovo daccapo, e ancora a ricominciare: un buon dipinto va fatto e rifatto sei volte, diceva, e come il Dio creatore egli lavorava sei volte e non meno di sei giorni all’Opera che era tutto il suo mondo. Ma il suo non era un cancellare, bensì un ricoprir di veli, e solo occhi attenti alla pur minima vibrazione di colore potevano catturarne le infinite sequenze di quelle luci nelle tenebre. 

Ciclista, olio su tela di Enrico Cajati
E in verità non furono molti, benché in tanti ne fossero incuriositi, i veri intenditori furono pochissimi ma tutti di gran qualità. Cajati godeva della fiducia incondizionata di Perez (Augusto, scultore), di Luca (Luigi Castellani, pittore), e di illuminati collezionisti come R. Marrama, R. Criespo, Cafarelli.
Salvatore Vitagliano

venerdì 25 gennaio 2013

Piero Golia, opera prima - Accademia di Belle Arti di Napoli, "Corso del Libero Nudo"

Alla prima collettiva di rilievo, all'Accademia di Belle Arti di Napoli, Piero Golia espose un coniglio (giugno 1997). Per dare un tocco di innovazione tecnologica alla sua trovata artistica, quel Peter Pan dell'arte contemporanea sistemò due piccoli altoparlanti vicino al contenitore del coniglio. Le casse riproducevano una registrazione: Piero Golia chiedeva disperatamente di uscire da lì, parlando al posto del coniglio. Aveva registrato la propria voce per fare le veci del coniglio, come si dice in gergo burocratico. L'artista si identificava nel coniglio, era lui che si agitava dal contenitore plastico chiedendo di uscire. 
E l'artista, a sua volta chi era? Il coniglio?!? 
L'opera di Piero Golia si apriva ad un caleidoscopio di interpretazioni...
Quello sì che si poteva definire vero coraggio controrivoluzionario...

Piero Golia, coraggiosa opera prima, 1997- Accademia di Belle Arti di Napoli

Francamente quella creazione era di una banalità sconcertante. In particolare, la registrazione dispensava una noia inossidabile: dopo due ore che andava avanti, gli fu chiesto di spegnerla perché era troppo fastidiosa. 

Il quadro esposto con quel coniglio di Piero Golia

Quando venne il direttore dell'Accademia, Gianni Pisani, dopo aver pontificato: “...abbiamo anche un Bacon napoletano...” riferendosi al mio quadro Max Mauro da vecchio... (Bacon, a me?!?), si complimentò con Piero Golia per tutto l'ambaradan della sua opera, “coniglio + altoparlanti” = NOIA, aggiungendo, però, che gli animali non potevano essere esposti. Non lì. Quest'ultima osservazione fu la cosa più sensata che avessi ascoltato quel giorno.

domenica 6 gennaio 2013

Storia di un quadro | Piero Golia, artista concettuale - "Nulla dies sine linea". Nudo giallo

Piero Golia ha frequentato il Corso Libero del Nudo all'Accademia di Belle Arti di Napoli. Alunno poco dotato, benché testardo, Piero Golia non ha mai imparato a disegnare, per non parlare della pittura: non è arte sua... Eppure, questo non gli ha impedito di diventare un artista concettuale ed esporre in luoghi di un certo rilievo.


Evidentemente Piero Golia ha delle doti nascoste...
Nel 1996, gli chiesi un suo disegno: un classico nudo disteso disegnato a matita che pareva fatto col fil di ferro. Era un disegno stranamente comico, Piero Golia fu così gentile da donarmelo.  Tempo dopo gli portai la foto del quadro che avevo realizzato da quel disegno.

" Nudo giallo" da un disegno di Piero Golia, 1996

Avevo lavorato a quel quadro cercando di adattarmi al suo stile, ovvero interpretando in pittura quei primitivi segni a matita. Allo stesso modo, cercai un colore impattante e non elaborato. Quando lo vide, Piero Golia commentò con un laconico: “O' cessss...”, dimostrandosi conscio dei propri limiti e forse credendo che mi stessi prendendo gioco di lui. 
In realtà trovai quell'operazione estremamente divertente.

gianluca salvati

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Gianluca Salvati - Lotta di cani

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