All'inaugurazione della mostra collettiva nell'ottobre del '99 era presente Enrico Cajati, un pittore assai interessante. Enrico Cajati era stato insegnante di Alessandro Papari e di Francesco Verio all'istituto d'arte. Paolo Mamone Capria e il La Motta già lo conoscevano.
Ero l'unico che non aveva ancora l'onore di conoscerlo. Ma di Enrico Cajati avevo sentito parlare anni addietro da un architetto e mi ero entusiasmato per il suo "metodo". Lo spiega in questo scritto Salvatore Vitagliano, che lo conosceva bene.
[...] Nel ’67 la grande svolta. Enrico Cajati
giunse alla determinazione di “mettere tutto sullo stesso piano”;
appiattendo quindi quella superficie materica che aveva elaborato con
tanti anni di sperimentazione e che lo aveva portato alla Biennale di
Venezia (a 28 anni) e tornò a quella fonte originaria dove non più il
caso ma la costruzione, la costanza, la tecnica, l’osservanza delle
regole saranno principi a cui cercherà di obbedire per tutto il resto
della propria vita.
Ho detto “cercherà” perché un uomo del suo
istinto e della sua immediatezza gestuale, musicale, dovette castigarsi
notevolmente per raggiungere degli apprezzabili risultati, ma in questo
castigo di uomo proiettato nel futuro che voleva raggiungere il passato,
sta forse la chiave di tutta la sua grandezza. I suoi piccoli quadri
informali divennero bozzetti di un lavoro futuro che ha del pazzesco;
egli li cominciò a disegnare su fogli lucidi, poi procedeva allo
spolvero e una volta riportato il disegno su tela, iniziava il lavoro di
campitura, di chiaroscuro, di velature, e quando il risultato finale
non lo soddisfaceva, ecco una tinta nuova ricoprire tutto e di nuovo un
nuovo inizio e alla fine un nuovo daccapo, e ancora a ricominciare: un
buon dipinto va fatto e rifatto sei volte, diceva, e come il Dio
creatore egli lavorava sei volte e non meno di sei giorni all’Opera che
era tutto il suo mondo. Ma il suo non era un cancellare, bensì un
ricoprir di veli, e solo occhi attenti alla pur minima vibrazione di
colore potevano catturarne le infinite sequenze di quelle luci nelle
tenebre.
Salvatore Vitagliano - 2002
Enrico Cajati era una macchietta, spiazzava di continuo gli interlocutori passando, apparentemente, di palo in frasca, sembrava un folletto... in realtà seguiva dei percorsi molto pertinenti riuscendo ad essere istruttivo e divertente allo stesso tempo.
Aveva il dono della semplicità.
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Il pieghevole della mostra con Paolo La Motta e Alessandro Papari |