Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.
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lunedì 31 ottobre 2016

Sanitas Venezuela: l'avvelenamento

Il 27 settembre 2004 presi ad insegnare alla scuola "Agustin Codazzi" di Caracas. Il mese seguente percepii il primo stipendio, pur non avendo alcun contratto di lavoro. L'unico contratto che avevo, in una lingua che non conoscevo ancora, era quello con l'azienda sanitaria privata, la Sanitas. Questo contratto assicurativo in lingua spagnola sembrerebbe un dettaglio, ma, col senno di poi, ho capito che era un aspetto tutt'altro che trascurabile. Dopo Natale, infatti, fui vittima di un avvelenamento che mi ha quasi ammazzato: in quell'occasione non ebbi modo di chiedere soccorso perché la procedura era complicata e io non ero in grado di decifrarla nell'idioma, lo spagnolo, che ancora non conoscevo. Eppure, nelle telefonate fatte prima di partire, avevo messo al corrente la. dott.ssa Greco del fatto che non conoscessi lo spagnolo. Lei mi aveva risposto che era una lingua facile da imparare... Quando ebbi l'avvelenamento il collega con cui condividevo l'appartamento si trovava fuori città, a Merida, dalla sua fidanzata. Mi telefonò il capodanno per farmi gli auguri, e, nonostante l'avessi messo al corrente delle mie condizioni di salute, non si preoccupò di informare nessuno dei colleghi presenti a Caracas. Mi disse che non poteva fare gran ché da  laggiù...

Il collega ritornò il 4 gennaio mattina. Lui e la sua fidanzata entrarono in casa silenziosamente. Io ero sveglio ma non parlai, aspettai che si affacciassero alla mia camera. Ricordo ancora la sua espressione nel rivedermi. Sembrò deluso e abbattuto, abbassò la testa e rivolto alla fidanzata disse che chiamava il pronto soccorso della Sanitas.
Quando la dottoressa e il suo assistente mi videro, sembrarono alquanto meravigliati di trovarmi vivo: mi trattarono come se la mia vita fosse appesa ad un filo. Mi prescrisse diversi medicinali e una serie di analisi.

Prescrizione Sanitas - 4 gennaio 2005


Il giorno seguente mi alzai e scesi di casa diretto alla clinica per le analisi.
Per un errore di comprensione con il tassista, non andai in una struttura Sanitas, bensì in un'altra clinica poco distante dal quartiere dove abitavo.
(In realtà l'informazione era molto precisa: Clinica Sanitas di Plaza Altamira, era impossibile sbagliarsi, cosicché sono certo che il tassista mi abbia voluto portare di proposito in un'altra clinica).
Tornato l'indomani per ritirare i risultati dei prelievi, fui spettatore di una strana rappresentazione: due infermiere discutevano sommessamente. L'argomento erano le mie analisi. Ad un certo punto capii ciò che dicevano: una disse all'altra che non era compito suo preoccuparsi del contenuto di quegli esami: doveva consegnarmeli e basta.
Eppure mi davano l'idea di essere entrambe molto comprese rispetto al mio "accidente" e che stessero cercando di comunicarmi qualcosa in più oltre a quello che dicevano.

Risultati alla mano, telefonai al centralino della Sanitas per parlare con la dottoressa che mi aveva visitato, dato che eravamo rimasti così. La dottoressa mi chiese i livelli di alcune voci delle analisi ed ebbe una reazione emotiva quando glieli comunicai. Mi chiese di ripetere il risultato di un parametro in particolare. Dal tono, di voce sembrava che stesse per piangere. Come se stentasse a credere a ciò che le comunicavo. Poi, di punto in bianco, la linea venne interrotta dalla voce di un uomo, il quale mi diceva che non potevo più parlare con la dottoressa perché era impegnata. Dovevo rivolgermi direttamente ad una struttura Sanitas.


Prescrizione Sanitas, retro - 4 gennaio 2005


Così feci, nonostante il mio aspetto e l'estrema debolezza. Il collega neanche stavolta si offrì di accompagnarmi ed io gli evitai la molestia di chiederglielo.
Alla clinica "La Floresta" del quartiere Chacao, provai a spiegare cosa dovevo fare ma non mi riuscì molto bene. Ad ogni modo mi fermai lì, in una delle sale d'attesa del piano inferiore della struttura, dove si facevano le analisi. Ad un certo punto un'assistente si offrì di mostrare le mie analisi ad un dottore internista. Così mi disse.
Quando ritornò, mi comunicò con un gran sorriso, che avevo avuto un dengue emorragico. Ebbi un certo sollievo a quest'affermazione, non so se perché si capiva che ero fuori pericolo, o perché, date le sue cause, non c'era dolo: il dengue infatti viene trasmesso da una zanzara. Ai primi sintomi, invece, avevo pensato ad un avvelenamento, causato dal prosciutto cotto lasciato in frigo dal collega.
Ad ogni modo presi per buona questa interpretazione, nonostante nei giorni successivi, alcune colleghe mi avessero invitato a sottopormi a una vera visita.
Io ero dell'avviso di dimenticare quella vicenda quanto prima e preferii non approfondire. Né lo comunicai ai miei familiari per non farli stare in pena.

Dimenticavo di dire che, pur avendo il numero della famiglia di Franco Chirico, che abitava a due passi da me (ma l'ho scoperto solo nel 2008), non mi ha neanche sfiorato il pensiero di telefonarli in quei giorni: sono certo che in tal caso le mie poche chance di sopravvivenza si sarebbero ridotte a zero...


Caribe e vitamina C...


Caribe e vitamina C... | Nei primi tempi di permanenza a Caracas, nell’autunno del 2004, cominciai a lamentare una diffusa debolezza. Essendo uno che non fa mistero delle proprie vicissitudini, ne parlavo con le colleghe. A un certo punto mi avvicinò la vecchia cariatide, quella baldracca, per dirmi che, a noi europei, il clima caraibico poteva giocare questi scherzi... In tal caso, aggiunse l’ex dipendente del Consolato Generale di Caracas, bisognava integrare la dieta con un maggiore apporto di vitamina C...
Vero che si era al Tropico, ma Caracas ha un clima formidabile, nulla a che vedere con tanti altri luoghi dove ho vissuto. Inoltre dalle parti del Codazzi si viveva praticamente immersi nel verde.
Ad ogni modo,  nei giorni seguenti acquistai della vitamina C in compresse masticabili e cominciai ad assumerne una o due al giorno. Quando il puttanòn mi rivide, riprese a domandare della mia salute, che effettivamente era migliorata e glielo confermai. Cosicché il vecchio truiùn se ne andò soddisfatto.

Ora, a distanza di tempo, sono certo che il mio peggioramento dipendesse da non meglio specificati additivi, aggiunti, a mia insaputa, ai pasti che consumavo. Da una parte il coinquilino, dall’altra la scuola, che aveva un servizio mensa e bar, e neanche lì scherzavano...
Oggi ho la plastica certezza che le cose siano andate proprio in questo modo. 
Il bagasciùn aveva il ruolo di sincerarsi che la “cosa” non sfuggisse di mano...
Di certo avevo fatto bene a lamentarmi del mio stato di salute, quando tornai dopo le vacanze di Natale, reduce dall’avvelenamento, la maggioranza delle persone decenti che c’erano a scuola, avevano già capito di cosa si trattava, altro che vitamina C...

https://plus.google.com/107300685509941252849/posts/8mF35D5hs8z

Il lavoro allegato in basso, una stampa e tecnica mista su carta,  spiega bene come mi sentivo in quei giorni; la sua realizzazione risale a pochi giorni prima dell'avvelenamento.

Tra l’altro, quando venne il rappresentante di Sanitas Venezuela per farmi firmare il contratto (ottobre 2004) con la sua assicurazione sanitaria, ricordo che mi fece una serie di domande sui miei acciacchi vicini e lontani. Ebbene per la prima volta ebbi la netta sensazione che dare notizie del genere a quel personaggio lì era una cosa sbagliata. Per quanto quel tipino fosse vestito in maniera impeccabile, intuivo che quelle informazioni così personali andavano nelle mani sbagliate.
Invece col puttanòn questo allarme non mi scattava, perché il truiùn sapeva controllarsi decisamente meglio: aveva passato una vita a simulare praticando uno dei mestieri più antichi al mondo e a quei tempi aveva maturato una discreta esperienza. Oltre ad una meritata pensione del Consolato Generale di Caracas, ovviamente.

https://plus.google.com/107300685509941252849/posts/KEdhk6H8tHS


What about the fucking human rights? dic. 04

domenica 11 ottobre 2015

Diritti umani e fascismo: il caso di Human Rights Watch

Cercando sul web gli articoli di un giornalista italiano conosciuto a Caracas, Enrico De Simone, mi sono imbattuto in questo che ho trovato molto interessante:

19 Settembre 2008
Nella serata di giovedì 18 settembre, il governo venezuelano ha decretato l’espulsione dal paese di José Miguel Vivanco, l’avvocato cileno direttore della sezione America latina di Human Rights Watch.
La sua colpa: avere tenuto, nel pomeriggio di quello stesso giorno, una conferenza stampa in cui denunciava come, dal fallito golpe del 2002 ad oggi, la situazione dei diritti umani in Venezuela sia andata deteriorandosi.
Poche ore dopo – come ha raccontato lo stesso ministro degli Esteri venezuelano, Nicolas Maduro – Vivanco e il collaboratore che lo accompagnava venivano accompagnati all’aeroporto, messi su un aereo e espulsi dal paese, con la proibizione di tornarci in futuro. Vivanco – recita un comunicato governativo firmato da Maduro e dal suo collega degli Interni, Tarek El Aissami – “ha violentato la Costituzione e le leggi della Repubblica Bolivariana del Venezuela, aggredendo le istituzioni della democrazia venezuelana e immischiandosi illegalmente negli interessi del paese”. Maduro ha poi dichiarato che il direttore di HRW (Human Rights Watch) ha contravvenuto alle norme che regolano il transito attraverso il Venezuela di cittadini stranieri in condizione di turista, presentando “in maniera abusiva e volgare” una conferenza stampa “dove ha vilipeso le istituzioni della democrazia venezuelana, dove ha ferito la dignità delle nostre istituzioni, del nostro popolo, della nostra democrazia”. L'“aggressione” di HRW “risponde – continua la nota – a interessi vincolati e finanziati dal governo degli Stati Uniti d’America, che dietro la maschera di difensori dei diritti umani dispiegano una strategia di aggressione inaccettabile per il nostro popolo”. Per rendere ancor più chiaro quest’ultimo concetto, Maduro ha dichiarato: “Sono sicuro che dietro questa imboscata mediatica ci sono quelli di sempre, i padroni dei mezzi di comunicazione legati agli interessi dell’impero e quei gruppetti che, proclamandosi difensori dei diritti umani, ricevono soldi da Washington”.
Enrico De Simone, L'Occidentale
Enrico De Simone La Voce d'Italia (Caracas) - L'Occidentale, Roma
L'articolo è molto più lungo e argomentativo, ma la vicenda in sé ha molti spunti di riflessione.
Dal mio modesto osservatorio, di chi ha vissuto per quasi 2 anni a Caracas e si è trovato spesso a lottare per i propri diritti, l'occasione non poteva essere più ghiotta. Ho letto il rapporto di José Miguel Vivanco, direttore della sezione per l'America latina di HRW, sgradito al regime di Hugo Chavéz
Questa denuncia è un'accozzaglia di luoghi comuni e di falsità in linea col metodo fascista adoperato dal Vivanco per declamare le sue “verità”. Per non parlare dell'effetto focalizzazione magicamente creato da una (finta) pluralità di mezzi di comunicazione (il cosiddetto soft power), radio, tv e giornali.
Qualche mese prima che Enrico De Simone giungesse a Caracas, avevo domandato ad una rappresentante del Ministero degli Esteri (italiano): “il diritto non è cultura ?” (Auditorium della scuola “Agustin Codazzi” - 10/03/2005). La funzionaria che aveva appena esposto le linee guida del suo ministero, mi aveva candidamente risposto: “No, il diritto non è cultura.” 

Fax Art - Caracas, marzo 2006 - Gianluca Salvati
La platea accolse silenziosamente l'asserzione.
La mia domanda era necessariamente provocatoria, ma la risposta era da medio evo, se non peggio, da età della pietra
Chissà cosa avrebbe risposto il signor Vivanco a quell'affermazione. Come se non bastasse, i rappresentanti istituzionali si proclamarono impotenti rispetto a quei delinquenti in grisaglia della giunta del Codazzi, nonostante il ministero elargisse un lauto assegno ogni anno al Codazzi.
Come ho già scritto eravamo senza contratto (a tempo determinato). Io avevo rischiato la pelle per un avvelenamento, che a quei tempi (ero ancora ingenuo) pensavo fosse stato un accidente. 

Eppure, non potevamo accampare diritti, mentre quei signori venuti da Roma, dovevano dirci cosa fare in classe dato che avevano regalato la paritarietà a quella scuola.
Il giorno dopo mi assentai, avevo una reazione di schifo verso quella gente.
Che strumenti avevo per far valere i miei diritti?
Qualcuno nel mondo ha inventato le associazioni per i diritti umani, tipo questa di Human Rights Watch, non so esattamente cosa siano né come operino, ma verrebbe automatico rivolgersi a loro. Mi pare di aver capito che, rispetto alle questioni, si pongano in questo modo: “dato che noi siamo più civili (e di certo migliori) di voi, queste sono le giuste ricette per elevarvi dal vostro stato di abiezione al nostro di onniscienza...”
Alla tv si parla spesso di loro, specie se di matrice yankee e non governativa, che oggi fa tanto figo... Immagino che costoro abbiano avuto un bel da fare in America latina, con tutti quei dittatori...
Come alternativa colta alle associazioni per i diritti umani, c'è la possibilità di rivolgersi ai tribunali di giustizia. Già, i tribunali del Venezuela, il rapporto di Human Rights Watch li descrive come asserviti alla politica. Sarà per questo che non ho mai sentito Chavéz scagliarsi contro i giudici e le loro sentenze ?

Hugo Chavez, el comandante
Ero assetato di vendetta, decisi per la seconda opzione. Feci causa a quegli idioti infami dell'onorata associazione delinquenziale “A. Codazzi” di Caracas e, nel giro di un paio di anni ho avuto giustizia, quella stessa giustizia che, a detta degli eminenti funzionari della Farnesina, nota istituzione ex-prestigiosa del mio democratico paese, avrei dovuto attendere in un'altra vita...


Tornando alla causa civile contro quei venduti del Codazzi (degni figli di infami taglia-gole), mi ha sconvolto la brevità dei tempi: appena due anni. In Italia, nella progredita Italia, quei tempi ce li sogniamo. Ma anche questo non è casuale. La colpa di ciò è da ascriversi unicamente alla cattiva politica troppo spesso parente stretta dell'illegalità diffusa e del crimine organizzato.
La verità e che qui si predilige l'impunità a scapito della legalità.
Per tutti questi motivi quel rapporto HRW mi è parso particolarmente falso e pretestuoso: una vera merdata.
Qualcuno potrebbe obiettare che la mia è un'esperienza unica. Errato. 
Negli anni 2006-2007, quei gaglioffi dell'associazione senza scopo di lucro con conto cifrato su banca svizzera (Credìt Suisse – sede di Lugano), hanno collezionato ben 4 cause da parte di insegnanti italiani, tutte puntualmente perse dal Codazzi. 

  Cause che, con un po' di buona volontà avrebbero potuto essere molte di più...
Gianluca Salvati


Per chi voglia chiarirsi le idee sulle violazioni dei diritti umani in America latina e sulle effettive responsabilità, rimando alla raccolta di articoli di R. Kapuscinski, Cristo con il fucile in spalla (ed. Feltrinelli).

Enrico Cajati,  olio su tela

venerdì 27 giugno 2014

Caracas, dicembre 2004: l'avvelenamento | La famiglia di Franco Chirico

Il 27 settembre 2004 cominciai ad insegnare alla scuola italo-venezuelana "Agustin Codazzi" di Caracas.
Dopo un mese di insegnamento, percepii il primo stipendio, pur non avendo alcun contratto di lavoro. L'unico contratto che avevo, in una lingua che non conoscevo ancora, era quello con l'azienda sanitaria privata, la Sanitas. Questo contratto assicurativo in lingua spagnola sembrerebbe un dettaglio, ma, col senno di poi, ho capito che era un aspetto tutt'altro che trascurabile. Dopo Natale, infatti, fui vittima di un avvelenamento che mi ha quasi ammazzato: in quell'occasione non ebbi modo di chiedere soccorso perché la procedura era complicata e io non ero in grado di decifrarla nell'idioma, lo spagnolo, che ancora non conoscevo. Eppure, nelle telefonate fatte prima di partire, avevo messo al corrente la. dott.ssa Greco del fatto che non conoscessi lo spagnolo. Lei mi aveva risposto che era una lingua facile da imparare... Quando ebbi l'avvelenamento il collega con cui condividevo l'appartamento si trovava fuori città, a Merida, dalla sua fidanzata. Mi telefonò il capodanno per farmi gli auguri, e, nonostante l'avessi messo al corrente delle mie condizioni di salute, non si preoccupò di informare nessuno dei colleghi presenti a Caracas. Mi disse che non poteva fare gran ché da laggiù.

Caracas, dicembre 04
Il collega ritornò il 4 gennaio mattina. Lui e la sua fidanzata entrarono in casa silenziosamente. Io ero sveglio ma non parlai, aspettai che si affacciassero alla mia camera. Ricordo ancora la sua espressione nel rivedermi. Sembrò deluso e abbattuto, abbassò la testa e rivolto alla fidanzata disse che chiamava il pronto soccorso della Sanitas.

Quando la dottoressa e il suo assistente mi videro, sembrarono alquanto meravigliati di trovarmi vivo: mi trattarono come se la mia vita fosse appesa ad un filo. Mi prescrissero diversi medicinali e una serie di analisi. 


Prescrizione Sanitas

Il giorno seguente mi alzai e scesi di casa diretto alla clinica per le analisi.  
Il tassista non mi portò in una struttura Sanitas, bensì in un'altra clinica poco distante dal quartiere dove abitavo. Per me andava bene lo stesso, una clinica vale l'altra. (In realtà l'informazione era molto precisa: Clinica Sanitas di Plaza Altamira, era impossibile sbagliarsi, cosicché sono certo che il tassista mi abbia portato di proposito in un'altra clinica).
Tornato l'indomani per ritirare i risultati dei prelievi, fui spettatore di una strana rappresentazione: due infermiere discutevano sommessamente. L'argomento erano le mie analisi. Ad un certo punto capii ciò che dicevano: una disse all'altra che non era compito suo preoccuparsi del contenuto di quegli esami: doveva consegnarmeli e basta. 
Eppure mi davano l'idea di essere entrambe molto comprese rispetto al mio "accidente" e che stessero cercando di comunicarmi qualcosa in più oltre a quello che dicevano. 


Risultati alla mano, telefonai al centralino della Sanitas per parlare con la dottoressa che mi aveva visitato, dato che eravamo rimasti così. La dottoressa mi chiese i livelli di alcune voci delle analisi ed ebbe una reazione emotiva quando glieli comunicai. Mi chiese di ripetere il risultato di un parametro in particolare. Dal tono, di voce sembrava che stesse per piangere. Come se stentasse a credere a ciò che le comunicavo. Poi, di punto in bianco, la linea venne interrotta dalla voce di un uomo, il quale mi diceva che non potevo più parlare con la dottoressa perché era impegnata. Dovevo rivolgermi direttamente ad una struttura Sanitas.

Così feci, nonostante il mio aspetto e l'estrema debolezza. Il collega neanche stavolta si offrì di accompagnarmi ed io gli evitai la molestia di chiederglielo. Alla clinica "La Floresta" di Plaza Altamira (quartiere Chacao), provai a spiegare cosa dovevo fare ma non mi riuscì molto bene. Ad ogni modo mi fermai lì, in una delle sale d'attesa del piano inferiore della struttura, dove si facevano le analisi. Ad un certo punto un'assistente si offrì di mostrare le mie analisi ad un dottore internista. Così mi disse.

Quando ritornò, mi comunicò con un gran sorriso, che avevo avuto un dengue emorragico. Ebbi un certo sollievo a quest'affermazione, non so se perché si capiva che ero fuori pericolo, o perché, date le sue cause, non c'era dolo: il dengue infatti viene trasmesso da una zanzara e a me le zanzare mi adorano. 
Ai primi sintomi, invece, avevo pensato ad un avvelenamento, causato dal prosciutto cotto lasciato in frigo dal collega. Inutile dire che quando ho studiato i sintomi del dengue emorragico, ho riscontrato che non avevano alcuna attinenza con i sintomi da me riscontrati in quei giorni.

 Mentre allora presi per buona quella interpretazione detta per sviarmi, nonostante nei giorni successivi, alcune colleghe mi avessero invitato a sottopormi a una vera visita. Io ero dell'avviso di dimenticare quella vicenda quanto prima e preferii non indagare. Né lo comunicai ai miei familiari per non farli stare in pena.

Dimenticavo di dire che, pur avendo il numero della famiglia di Franco Chirico, che abitava a due passi da me (ma l'ho scoperto solo nel 2008), non mi ha neanche sfiorato il pensiero di telefonarli in quei giorni: sono certo che in tal caso le mie poche chance di sopravvivenza si sarebbero ridotte a zero... 

giovedì 20 settembre 2012

Consorterie: Anna Grazia Greco, Antonio Nazzaro e Kyong Mazzaro | Bruno Teodori, dirigente Mae

Quando lavoravo alla scuola "A. Codazzi" di Caracas, ho avuto modo di conoscere, per interposta persona, il prof Bruno Teodori. Ciò accadeva specialmente quando, parlando della penosa gestione della scuola con qualche collega, si passava a ragionare sugli esempi più recenti. Nel 2004 e negli anni successivi, la pietra di paragone era la gestione del dirigente Bruno Teodori. Tutti i colleghi, venezuelani e italiani, concordavano sul fatto che la sua dirigenza faceva funzionare bene la scuola. I vari elementi della Giunta Direttiva, infatti, con il dirigente Teodori rimanevano al loro posto. Non si allargavano, come hanno fatto in seguito. E gli insegnanti non avevano bisogno di elemosinare i propri diritti. 
Da quel che ascoltavo, il prof Bruno Teodori era l'italiano più rimpianto di Caracas...

Caballero buscando a Kyong Mazzaro

Per sfortuna, il prof Bruno Teodori era venuto a mancare, se ben ricordo, a causa di un ictus nel 2004. 
Dai racconti, mi ero fatto l'idea di un uomo abbastanza avanti con gli anni, diciamo sopra la sessantina, tipo 65 portati male... E invece, appena ho provato a verificare le mie valutazioni, mi sono reso conto che mi ero sbagliato alla grande: in questi giorni ho scoperto che, quando il prof Teodori è scomparso, era poco più che quarantenne, aveva 43 anni. Dunque era nel fiore degli anni ed era anche uno sportivo.
A volte si è superficiali senza volerlo. Avrei dovuto spendere qualche dubbio in più su quella morte. Come ho fatto, in seguito, sul mio avvelenamento del 2004 a Caracas. 
Avevo 36 anni e se fossi morto, quella scuola sarebbe stata statisticamente un'eccezione alla media nazionale che è di 79 anni per ciascun individuo (e non di 79 anni divisi, più o meno, in 2).

Omaggio a Bruno Teodori

lunedì 3 maggio 2010

Max Mauro - Un pittore napoletano a Caracas - La Voce d'Italia

CARACAS– Che ci fa un pittore napoletano a Caracas? E’ la prima domanda che il cronista si pone incontrando Gianluca Salvati, artista figurativo con alle spalle diverse mostre collettive e una personale nella città di origine, che da due anni risiede nella capitale venezolana.
Sono arrivato come insegnante della scuola italiana Codazzi”, risponde con un sorriso aperto e il tipico accento della sua terra di origine questo giovane che non dimostra i suoi 38 anni. “A un certo punto della mia vita mi sono trovato di fronte a una scelta: vivere di pittura facendo delle opere commerciali oppure trovarmi un lavoro che mi consentisse di continuare a dipingere ciò che più mi piace, senza badare al mercato. Così ho rispolverato il diploma magistrale che ho conseguito prima di compiere gli studi all’accademia dell’arte di Napoli e mi sono immerso nell’insegnamento”. Prima di arrivare in Venezuela, Gianluca ha vissuto per un anno a Casablanca, in Marocco, lavorando sempre come insegnante di italiano. Sembra che la sua vita sia legata all’incontro con altre culture, allo spaesamento di chi decide di vivere lontano da casa. Un emigrante moderno o un artista alla ricerca di stimoli?
Mi piace entrare in contatto con altre culture, ma non è stata una decisione programmata quella di venire in Venezuela o andare in Marocco. Si è presentata l’occasione e l’ho colta, tutto qua. E’ chiaro che tutto quello che vedo e assorbo nei luoghi i cui vado mi trasmette qualcosa che in un modo o nell’altro poi traspongo nei quadri”. Nel suo periodo venezolano ha creato sette opere, sette quadri di forte impatto emotivo, perché tutti hanno per protagonisti figure umane, ritratte in posizione distesa, viste di fronte. “Una delle prime cose che mi hanno colpito a Caracas erano le persone distese in strada, mendicanti e barboni. Vedevo qui corpi e mi veniva istintivo di raccogliere degli schizzi o di fotografarli. Non l’ho fatto, per pudore o rispetto, ma poi, quando ho sentito il bisogno di dipingere, ho affittato uno studio e il risultato del mio lavoro sono questi quadri”.
Il rapporto di Gianluca con la pittura è molto intenso, ammette che è la cosa che gli piace più fare nella vita, ma trascorre lungo periodi senza dipingere. “Fin da piccolo ho avuto la passione per i colori e il disegno. La mia è una famiglia di musicisti: la nonna, il babbo, i miei due fratelli, tutti musicisti. Io sono l’unico che si dedica alla pittura, però passo dei lunghi periodi in cui non mi avvicino alla tela. Per dipingere serve tranquillità e in certi momenti devi lasciare maturare le sensazioni che vuoi trasmettere dipingendo, devi studiare, ricercare”.
Nei primi tempi non riusciva ad abituarsi al clima dei Caraibi e soprattutto all’assenza delle stagioni come si vivono in Italia, ma ora si è affezionato al paese. “Ci sono dei paesaggi spettacolari e il ritmo della vita è più rilassato, meno stressante. E poi stando in America Latina ho avuto modo di conoscere le opere di grandi artisti come il venezolano Jesus Soto o il messicano Rufino Tamayo. Mi piace molto anche l’artigianato indigeno, i lavori fatti a mano”, dice.
Chiusa l’esperienza alla scuola italiana, Gianluca sta ora seguendo un corso di grafica, altra sua passione, e programma il rientro in Europa. Prima di partire deve tuttavia prendere una decisione: che fare dei quadri realizzati in Venezuela? “Al principio non mi piacevano, poi ho cambiato idea e forse alcuni li porterò con me, anche se non è facile svolgere la tela, rischi di rovinarli. Insomma, non ho ancora ben chiaro che farne, forse li regalerò. Venderli? Non li ho pensati per questo”.
Pubblicato il 08 maggio 2006 da Max Mauro-9/5/06

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Gianluca Salvati - Lotta di cani

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