Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.
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venerdì 13 marzo 2015

Un esposto al "porto delle nebbie" | Paolo Scartozzoni, pagliaccio di regime

Sono passati 10 anni dalla visita della commissione interministeriale (esteri ed istruzione) alla scuola "Agustin Codazzi" di Caracas. Non sono uno che dimentica facilmente, specie se i fatti hanno una loro gravità intrinseca che merita di essere divulgata.
Il seguente brano è estratto dall'esposto inviato nel luglio del 2009 al Tribunale di Roma, già "porto delle nebbie" da tempo immemore (ovvero da più di 50 anni: molto prima che nascessi...).

[...] Il tempo passava ma di contratto neanche a parlarne. Coi professori provenienti dall'Italia provammo a sollecitare una risposta con una lettera.
La Giunta Direttiva del Codazzi non si prese neanche la briga di rispondere con due parole alla richiesta scritta. Il motivo di questo comportamento anomalo rimaneva oscuro.
Nel mese di Marzo (2005) venne a Caracas una commissione ministeriale presieduta da Paolo Scartozzoni per confermare la paritarietà alla scuola. Dopo il discorso sulla presentazione dei futuri progetti della Cooperazione del Ministero degli Esteri, venne fuori che noi professori eravamo ancora sprovvisti di contratto.
La dott.ssa Scarpellini rispose che non spettava a lei redimere tali questioni. 
Mi alzai per chiederle se il "diritto" non facesse parte della "cultura" (vai a sapere, magari rientrava fra gli obiettivi del loro prestigioso ministero).
La dott.ssa Scarpellini mi rispose candidamente: "No, il diritto non è cultura".
Dopo un po' contestai Paolo Scartozzoni perché cominciò a dire cose che, a mio avviso, non stavano né in cielo, né in terra. A quel punto il console si sentì in dovere di prendere le parti dei suoi ospiti e di mettermi a posto, dicendo che mi avevano risposto due persone importanti e che lui era la terza: avrei dovuto essere soddisfatto.
Gli risposi chiedendogli se chi mi aveva chiamato a quelle condizioni non meritasse una denuncia penale (mi riferivo proprio ad Anna Grazia Greco, una fuorilegge per disperazione, che era lì presente ed in quel momento reagì come chi riceve una batosta...  evento colto da diversi presenti). 

Come avevo intuito, ed ho in seguito capito, l'obiettivo di quella gentaglia, Anna Grazia Greco, Paolo Scartozzoni ed affiliati, era proprio quello di farmi litigare col console, che era all'oscuro della situazione ed era tra le persone decenti che ho trovato a Caracas.



domenica 21 settembre 2014

Enrico Cajati e il camorrista | Paolo La Motta al Castel dell'Ovo

Su Enrico Cajati circolava una storiella che pareva spuria, invece ho verificato essere autentica al 100%.
Non è una storia da manuale, tipo quelle raccontate da Saviano o dal Mattino di Napoli, storie che narrano le gesta da far west della criminalità organizzata napoletana. Soffermandosi unicamente sull'aspetto flokloristico e stucchevole del fenomeno. Dato che anche il far west è un'invenzione cinematografica...

"C'era una volta un pittore che amava vivere i vicoli di Napoli. Un uomo semplice e schietto che era riuscito a farsi apprezzare fin da giovane: a 28 anni fu invitato alla biennale di Venezia.
In quello stesso periodo c'era un camorrista, rampollo, neanche a dirlo, di una famiglia di noti delinquenti. Il camorrista aveva un problema: doveva reinvestire e riciclare i soldi sporchi che tanto facilmente incamerava. Dato che, nella sua volgarità, si riteneva un tipo fine, decise di dedicarsi all'arte contemporanea. Nella sua mente primitiva, aveva infatti notato che gallerista faceva rima con camorrista, e poi che entrambe le parole erano formate da 10 lettere! 
Che mente elevata, non riusciva proprio capacitarsi di poter esprimere cotanto genio.
Di artisti ne trovava a bizzeffe, di ogni nazionalità, formazione e indirizzo artistico, dato che nessuno andava per il sottile sulla provenienza di quei soldi. Pecunia non olet, dicevano gli antichi.
Un giorno il “gallerista” era venuto a conoscenza di quel pittore venuto dal nulla e si era messo in testa di farne un artista della sua scuderia: voleva lanciarlo, come si dice in gergo.

Il pittore accettò, era una persona di una semplicità sconcertante, parlava con tutti. Accettò l'incarico e l'assegno di alcuni milioni, pare 10, che all'epoca erano una vera fortuna: lo stipendio medio era di poche centinaia di migliaia di lire. 
Il pittore, però, cominciò col prendere tempo prima di onorare il patto, il tempo passava e i quadri non erano mai pronti. Non era tanto convinto dell'affare: per lui la provenienza di quei soldi faceva la differenza. Così i quadri non erano mai pronti. 
La pazienza del “gallerista” cominciò a vacillare, non ne poteva più di quelle risposte evasive, era un tipo fine, ma fino a un certo punto. 
Un giorno prese di petto la situazione e arrivò a minacciare il pittore: “Se non mi ridai i soldi ti rompo la testa!”. 
Il pittore tirò fuori l'assegno e glielo porse: non l'aveva neanche incassato!"

Dunque il  pittore è Enrico Cajati, e non è il caso di dire il nome del camorrista: farsi denunciare da una merda simile sarebbe il colmo per me!


Paolo La Motta alla mostra di Enrico Cajati - 2006



mercoledì 11 giugno 2014

# L’articolo - p. II # | Enrico De Simone, Carlo Fermi e Max Mauro - La Voce d'Italia, Caracas: giornale fascista con velleità sinistroidi

Andammo alla pizzeria Nonna bella di Chacaito e ordinammo delle pizze.

Scendendo da via Nivaldo, nei pressi della mia abitazione, incrociammo un tipo semi alcolizzato che nei primi tempi aveva provato a spillarmi dei soldi. Fino al giorno che,  avendomi chiesto di tenergli della refurtiva in casa, lo misi a posto una volta per tutte. Anche se quello era un quartiere residenziale, infatti, confinava con la favela, che in Venezuela si chiama rancho. La qual cosa non mi scandalizzava: mi sono sempre piaciuti i luoghi popolari. Ma quando raccontai ai compaesani la storia di quel tipo, loro si galvanizzarono, fu il tema della serata in pizzeria.

Max Mauro era in Venezuela da poco ed era stato alloggiato dal responsabile del giornale fascista per cui lavorava (La Voce d’Italia) in un albergo mal frequentato, raggiungerlo di sera a piedi voleva dire esporsi a rapina certa, dato che si trovava in una zona della città completamente al buio. Neanche fosse stata la bocca dell’inferno.

Max ci raccontò di alcuni personaggi equivoci che risiedevano nel suo hotel. Carlo Fermi scriveva messaggini a ruota.

L’altro argomento della sera, neanche a dirlo, furono i miei quadri. Le prime osservazioni partirono da Carlo Fermi, il quale quella sera era lì per puro caso: per vedere la casa dove vivevo... A seguire attaccò Enrico De Simone che, anche quella sera, mi pareva il suo fido cagnolino da compagnia.

In sostanza i due compari mettevano in dubbio l’autenticità della mia produzione pittorica. 



Da non credere, quei due vermi, due venduti agli ordini di chissà chi, che davano del veniale a me. Sembrava il colmo dei colmi. Ed erano lì per puro caso. O almeno questa era la loro versione.

Alla fine della pizza e delle chiacchiere, Carlo Fermi tirò le fila della forbita conversazione: dato che io ero forte e non avevo paura, avrei accompagnato Max al suo albergo che non era molto distante dalla piazza. Poi sarei tornato col taxi. 
Lui intanto andava, perché aveva un impegno: era un uomo di mondo, aveva studiato alla Bocconi per fare simili ragionamenti... (pochi anni dopo, Carlo Fermi si installerà a Medellin, capitale mondiale della cocaina, in Colombia).
Non se ne parla”, gli risposi. Provarono inutilmente ad insistere i due compari.

Alla fine si rassegnarono: saremmo andati con Enrico e Pier ad accompagnare Max.

Eravamo nella piazza di Chacaito, stavo scrivendo l’email del Pier sul cellulare, ad un certo punto notai il negretto che guardando verso di noi, saltò giù dal muretto dov’era seduto insieme ad altri. Non ci diedi il giusto peso e quelli presero a seguirci. A un certo punto, poco prima di uscire dalla piazza, parte di quella teppa ci superò, prendendo diverse direzioni.
Neanche il tempo di raccapezzarmi e pensare: “ Ma che storia è questa?...”, che venni colpito alla nuca. Che botta!

L’ultima scena che vidi prima di perdere i sensi fu Enrico De Simone: si girava come uno che già conosca il copione e con la sua nota espressione sulla faccia abbassa la testa, come a dire: “Ben ti sta!”. E molto casualmente a lui nessuno lo toccò.
Quando mi ripresi avevo il braccio del negretto che mi stringeva al collo. Il tipo era più basso di me, ma aveva un avambraccio di tutto rispetto e si teneva ben piantato al suolo. Ebbi la mia brava reazione e provai a scrollarmi da dosso quell’animale. Gli afferrai il braccio con entrambe le mani, tirai in avanti verso il basso e gridai come un animale. Ecco, due animali.

Ero fuori forma, e il negretto non fece il volo che avrebbe dovuto fare, ma dovette muoversi in avanti con passi veloci per non cadere. Aveva le scarpe lucide di pelle con la suola in cuoio che battendo sulle pietre della piazza, produssero uno scalpiccio piuttosto acuto. La scena aveva del comico.
Si fermò di fronte a me a tre metri circa. Ci fronteggiavamo io e il negretto e il tipo fece il gesto di mettere le mani dietro la cintura per prendere il coltello.
A quel punto scappai, senza molta convinzione, mi pareva di andare al rallentatore. In quel momento uno di quei figli di troia mi lanciò una bottiglia di birra che si fracassò sulla coscia in prossimità del mio ginocchio sinistro.
Ritornai nella piazza e mi fermai. Avevo ancora il cellulare nella mano sinistra. E i miei compagni?

Un attimo dopo vidi un tipo ridicolo che correva a slalom. Era Enrico De Simone.

Non si perse d’animo il periodista di destra, quel finto chavista subito prese ad aggredirmi verbalmente: era colpa mia se ci avevano aggredito; camminavo col cellulare in mano. “E guarda lì che ti sei fatto!

Si sentì uno sparo e dopo si vide la teppaglia scappare nella nostra direzione. Ritornammo al ristorante Nonna bella. Enrico chiamò la polizia. Io mi feci dare del ghiaccio per l’ematoma della bottigliata.
La polizia era già lì. Una pattuglia in moto aveva sentito il mio grido. Poi aveva incrociato Pier che gli aveva indicato il luogo dell’aggressione. Avevano sparato in aria per disperderli. Non avevano neanche tentato, che so, di acciuffarne qualcuno.

Prendemmo un taxi per tornare a casa. Passando davanti ad una pensilina degli autobus c’erano dei ragazzi. Appartenenti a quella teppa, ci avrei scommesso. Ero ancora dell’idea che andassero acciuffati ma non lo dissi a Enrico, a che serviva. 
Avevo attraversato quella piazza di Chacaito un'infinità di volte, spesso di notte, spesso da solo e non mi era mai accaduto neanche l'accenno di una rapina. Posso affermarlo con certezza: meglio solo, che male accompagnato...

A casa continuai a tenere il ghiaccio sull’ematoma e mi fumai una sigaretta.

Il giorno dopo, il 30 aprile del 2006, Enrico De Simone mi inviò questo messaggio: Hola guerrero, todo bien? Il grande "amico" Enrico De Simone, che oggi scrive per il giornale on line di un colonnello, Gaetano Quagliariello, del partito piduista.

Quando ci rivedemmo, Pier non ci poteva credere: “Ti hanno aggredito in due e li hai messi fuori gioco...”. Non ricordavo che erano in due, però ripensandoci mi tornò in mente, il secondo l’avevo colpito col dorso della mano sinistra al volto. Era stata la mia reazione prima di perdere i sensi.

Più di una persona mi dirà in seguito che ho fatto male a reagire, che così rischiavo la vita e cose del genere... Sono certo che avrei rischiato di più se non avessi reagito. Erano mal intenzionati dal  primo momento, almeno nei miei confronti. A Enrico, infatti, non lo avevano neanche sfiorato. Il Pier era riuscito a divincolarsi  Max si era ritrovato a terra mentre quelli gli frugavano nelle tasche.

Su una cosa concordammo e fu abbastanza scioccante: erano tutti ben vestiti. Una élite di marioli, del tipo che lavorano su commissione. Non a caso.

Avevo da poco denunciato all’autorità competente quegli infami delinquenti in grisaglia dell’associazione Agustin Codazzi, la scuola presso cui avevo lavorato a Caracas. E meno male, perché ho potuto mettere un punto fermo nei confronti di quella gente, e del regime che li protegge e che un domani, grazie ad apparati deviati dello Stato, avrebbe potuto avallare altre menzogne, più o meno come hanno provato a fare senza successo quegli infami della cricca Codazzi al Tribunale di Caracas.

giovedì 20 gennaio 2011

La camarilla del Codazzi e le istituzioni italiane | Denuncia del "caso Codazzi" alla stampa italiana | FAX-art (Caracas, marzo 2006)

*A.C.E. (Escuela) Agustin Codazzi, associazione culturale senza fini di lucro con conto cifrato in Svizzera (Credit Suisse, lava più bianco) dove “conserva” i contributi provenienti dal governo italiano per i prof che sono tuttora privi di contratto, non gli vengono riconosciuti i più elementari diritti e, quest'anno scolastico sono stati richiamati con una modalità a dir poco “truffaldina”: gli erano stati promessi gli euro come paga, ma, quando si sono ritrovati a scuola, gli è stato detto che non li avrebbero ricevuti, gli euro...

Quale cultura?
(barrare la risposta giusta)

  • italiana ?
  • EUROPEA ?
  • mafiosa ?
    (inviato a 3 testate giornalistiche italiane: una del sud, una del centro e una del profondo nord)

gianluca salvati

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Gianluca Salvati - Lotta di cani

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