Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.
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giovedì 16 giugno 2016

La brillante carriera universitaria di Kyong Mazzaro

Quando l'ho conosciuta, nella seconda metà di agosto del 2008 a Caracas, Kyong Mazzaro svolgeva una non meglio specificata attività di blogger. Assieme a lei, sempre in qualità di blogger, operava un tipo assai squallido e ambiguo, tale Andrea Dorato. (Non mi meraviglierei di apprendere che costui lavori per i servizi segreti). 
La "strana coppia" di blogger si incontrava presso il domicilio di Antonio Nazzaro, "poeta" ed altro ancora. Tale "poeta" mi era stato presentato nel maggio del 2006 al Centro Culturale Italiano di Caracas, dove lavorava.
Nel mese di settembre 2008, la Kyong Mazzaro si trova in italia, all'università La Sapienza di Roma. L'ateneo La Sapienza è venuto alla ribalta di recente per un suo impiegato che, alla fine degli anni novanta, aveva sparato ad una studentessa, uccidendola. 
Il fatto era avvenuto all'interno dell'università secondo modalità, a dir poco, improbabili. Ebbene, quell'impiegato-sceriffo è ricomparso come professore di scuola superiore. Fortunatamente, il clamore suscitato dalle polemiche è stato tale da indurre il neo prof a ritirarsi.
Ritornando a Kyong Mazzaro, alcuni mesi dopo è approdata in un tempio della cultura yankee: la Columbia University di New York. Ovviamente, neanche le istituzioni statunitensi sono questi baluardi di indipendenza del pensiero, immuni cioè dalle lusinghe del potere, altrimenti una come Kyong Mazzaro, dalle chiare origini massoniche, non avrebbe trovato posto neanche come addetta alla raccolta dei rifiuti.
Ma come fa ad operare Kyong Mazzaro in una istituzione universitaria che, malgrado i suoi compromessi col regime, resta pur sempre una fucina di alta conoscenza? 

In maniera molto semplice, ed anche abbastanza scontato per la realtà italiana: 
  • il capo di Kyong Mazzaro fa finta di non accorgersi della sua pochezza intellettiva, oltre che umana; 
  • la maggior parte del lavoro viene svolto da assistenti professionalmente preparati e flessibili, cioè sottopagati e non riconosciuti. I moderni schiavi...
In tal modo la giovane Kyong Mazzaro, devota di Anna Grazia Greco (altra notoria capra), può ostentare un curriculum accademico di tutto rispetto. Solo sulla carta, però...

Kyong Mazzaro - AC4 Columbia University, New York

sabato 23 aprile 2016

Antonio Nazzaro, Kyong Mazzaro: Tina Modotti - Centro Cultural

Para el recién constituido Centro Cultural Tina Modotti es un honor poder dar inicio a su actividad expositiva en el marco de la "III Fiesta de las Artes y Formacion", que celebra el Dia Nacional del Artista Plastico y el Nacimiento de Armando Reveron, organizada por el Instituto Universitario de Estudios Superiores de Artes Plasticas Armando Reveron. Nuestra intencion es procurar la promocion de jovenes artistas italianos en Venezuela, y de jovenes artistas venezolanos en Italia. Nuestro intento no es solo el de traer la obra de artistas, sino tambien el de crear "nuevos" lenguajes artisticos, por ello, hemos elegido la exposition de videopoesia italiana: El viaje ya se ha... iniciado! Las formas del verbo".
Antonio Nazzaro y Kyong Mazzaro


Kyong Mazzaro, Andrea Dorado, Antonio Nazzaro: centro culturale Tina Modotti


mercoledì 11 giugno 2014

# L’articolo - p. II # | Enrico De Simone, Carlo Fermi e Max Mauro - La Voce d'Italia, Caracas: giornale fascista con velleità sinistroidi

Andammo alla pizzeria Nonna bella di Chacaito e ordinammo delle pizze.

Scendendo da via Nivaldo, nei pressi della mia abitazione, incrociammo un tipo semi alcolizzato che nei primi tempi aveva provato a spillarmi dei soldi. Fino al giorno che,  avendomi chiesto di tenergli della refurtiva in casa, lo misi a posto una volta per tutte. Anche se quello era un quartiere residenziale, infatti, confinava con la favela, che in Venezuela si chiama rancho. La qual cosa non mi scandalizzava: mi sono sempre piaciuti i luoghi popolari. Ma quando raccontai ai compaesani la storia di quel tipo, loro si galvanizzarono, fu il tema della serata in pizzeria.

Max Mauro era in Venezuela da poco ed era stato alloggiato dal responsabile del giornale fascista per cui lavorava (La Voce d’Italia) in un albergo mal frequentato, raggiungerlo di sera a piedi voleva dire esporsi a rapina certa, dato che si trovava in una zona della città completamente al buio. Neanche fosse stata la bocca dell’inferno.

Max ci raccontò di alcuni personaggi equivoci che risiedevano nel suo hotel. Carlo Fermi scriveva messaggini a ruota.

L’altro argomento della sera, neanche a dirlo, furono i miei quadri. Le prime osservazioni partirono da Carlo Fermi, il quale quella sera era lì per puro caso: per vedere la casa dove vivevo... A seguire attaccò Enrico De Simone che, anche quella sera, mi pareva il suo fido cagnolino da compagnia.

In sostanza i due compari mettevano in dubbio l’autenticità della mia produzione pittorica. 



Da non credere, quei due vermi, due venduti agli ordini di chissà chi, che davano del veniale a me. Sembrava il colmo dei colmi. Ed erano lì per puro caso. O almeno questa era la loro versione.

Alla fine della pizza e delle chiacchiere, Carlo Fermi tirò le fila della forbita conversazione: dato che io ero forte e non avevo paura, avrei accompagnato Max al suo albergo che non era molto distante dalla piazza. Poi sarei tornato col taxi. 
Lui intanto andava, perché aveva un impegno: era un uomo di mondo, aveva studiato alla Bocconi per fare simili ragionamenti... (pochi anni dopo, Carlo Fermi si installerà a Medellin, capitale mondiale della cocaina, in Colombia).
Non se ne parla”, gli risposi. Provarono inutilmente ad insistere i due compari.

Alla fine si rassegnarono: saremmo andati con Enrico e Pier ad accompagnare Max.

Eravamo nella piazza di Chacaito, stavo scrivendo l’email del Pier sul cellulare, ad un certo punto notai il negretto che guardando verso di noi, saltò giù dal muretto dov’era seduto insieme ad altri. Non ci diedi il giusto peso e quelli presero a seguirci. A un certo punto, poco prima di uscire dalla piazza, parte di quella teppa ci superò, prendendo diverse direzioni.
Neanche il tempo di raccapezzarmi e pensare: “ Ma che storia è questa?...”, che venni colpito alla nuca. Che botta!

L’ultima scena che vidi prima di perdere i sensi fu Enrico De Simone: si girava come uno che già conosca il copione e con la sua nota espressione sulla faccia abbassa la testa, come a dire: “Ben ti sta!”. E molto casualmente a lui nessuno lo toccò.
Quando mi ripresi avevo il braccio del negretto che mi stringeva al collo. Il tipo era più basso di me, ma aveva un avambraccio di tutto rispetto e si teneva ben piantato al suolo. Ebbi la mia brava reazione e provai a scrollarmi da dosso quell’animale. Gli afferrai il braccio con entrambe le mani, tirai in avanti verso il basso e gridai come un animale. Ecco, due animali.

Ero fuori forma, e il negretto non fece il volo che avrebbe dovuto fare, ma dovette muoversi in avanti con passi veloci per non cadere. Aveva le scarpe lucide di pelle con la suola in cuoio che battendo sulle pietre della piazza, produssero uno scalpiccio piuttosto acuto. La scena aveva del comico.
Si fermò di fronte a me a tre metri circa. Ci fronteggiavamo io e il negretto e il tipo fece il gesto di mettere le mani dietro la cintura per prendere il coltello.
A quel punto scappai, senza molta convinzione, mi pareva di andare al rallentatore. In quel momento uno di quei figli di troia mi lanciò una bottiglia di birra che si fracassò sulla coscia in prossimità del mio ginocchio sinistro.
Ritornai nella piazza e mi fermai. Avevo ancora il cellulare nella mano sinistra. E i miei compagni?

Un attimo dopo vidi un tipo ridicolo che correva a slalom. Era Enrico De Simone.

Non si perse d’animo il periodista di destra, quel finto chavista subito prese ad aggredirmi verbalmente: era colpa mia se ci avevano aggredito; camminavo col cellulare in mano. “E guarda lì che ti sei fatto!

Si sentì uno sparo e dopo si vide la teppaglia scappare nella nostra direzione. Ritornammo al ristorante Nonna bella. Enrico chiamò la polizia. Io mi feci dare del ghiaccio per l’ematoma della bottigliata.
La polizia era già lì. Una pattuglia in moto aveva sentito il mio grido. Poi aveva incrociato Pier che gli aveva indicato il luogo dell’aggressione. Avevano sparato in aria per disperderli. Non avevano neanche tentato, che so, di acciuffarne qualcuno.

Prendemmo un taxi per tornare a casa. Passando davanti ad una pensilina degli autobus c’erano dei ragazzi. Appartenenti a quella teppa, ci avrei scommesso. Ero ancora dell’idea che andassero acciuffati ma non lo dissi a Enrico, a che serviva. 
Avevo attraversato quella piazza di Chacaito un'infinità di volte, spesso di notte, spesso da solo e non mi era mai accaduto neanche l'accenno di una rapina. Posso affermarlo con certezza: meglio solo, che male accompagnato...

A casa continuai a tenere il ghiaccio sull’ematoma e mi fumai una sigaretta.

Il giorno dopo, il 30 aprile del 2006, Enrico De Simone mi inviò questo messaggio: Hola guerrero, todo bien? Il grande "amico" Enrico De Simone, che oggi scrive per il giornale on line di un colonnello, Gaetano Quagliariello, del partito piduista.

Quando ci rivedemmo, Pier non ci poteva credere: “Ti hanno aggredito in due e li hai messi fuori gioco...”. Non ricordavo che erano in due, però ripensandoci mi tornò in mente, il secondo l’avevo colpito col dorso della mano sinistra al volto. Era stata la mia reazione prima di perdere i sensi.

Più di una persona mi dirà in seguito che ho fatto male a reagire, che così rischiavo la vita e cose del genere... Sono certo che avrei rischiato di più se non avessi reagito. Erano mal intenzionati dal  primo momento, almeno nei miei confronti. A Enrico, infatti, non lo avevano neanche sfiorato. Il Pier era riuscito a divincolarsi  Max si era ritrovato a terra mentre quelli gli frugavano nelle tasche.

Su una cosa concordammo e fu abbastanza scioccante: erano tutti ben vestiti. Una élite di marioli, del tipo che lavorano su commissione. Non a caso.

Avevo da poco denunciato all’autorità competente quegli infami delinquenti in grisaglia dell’associazione Agustin Codazzi, la scuola presso cui avevo lavorato a Caracas. E meno male, perché ho potuto mettere un punto fermo nei confronti di quella gente, e del regime che li protegge e che un domani, grazie ad apparati deviati dello Stato, avrebbe potuto avallare altre menzogne, più o meno come hanno provato a fare senza successo quegli infami della cricca Codazzi al Tribunale di Caracas.

domenica 19 gennaio 2014

La ragazza di Piero Armenti e l'appartamento di M | "Los hermanitos" a Sabana Grande

Nel gennaio del 2006, la ragazza di Piero Armenti andò a vivere da M. Il governo Chavez, infatti, stava ristrutturando interi barrios, i quartieri popolari conosciuti in Venezuela come rancho. In quel periodo toccava al quartiere del 23 Jenero, dove si trovava la casa dei genitori della tipa. Lei non aveva amiche che la ospitassero in quel periodo.
 

Un aspetto curioso di questa ragazza venezuelana era che, pur vivendo con i suoi genitori, trascorreva lunghi periodi senza rincasare. La ragazza di Piero Armenti, questa nomade, era ospite fissa delle sue amiche. Per questo motivo si spostava spesso con uno zaino, tipo quelli da scuola, in cui teneva tutto l'indispensabile.
Tutta la vita in uno zaino, o almeno, buona parte.

In Venezuela è facile vivere con pochi indumenti perché il clima è caldo. Il primo anno che ho vissuto a Caracas (che è comunque a quota 1000 m) avevo portato come capo più caldo, una felpa. Ma l'ho utilizzata poche volte, perché, anche alle 6 del mattino, quando andavo a scuola, mi faceva sudare.
Tornando alla ragazza di Piero Armenti, passava di casa in casa, ma ogni tanto tornava dai suoi familiari. Nel gennaio 2005 si era trasferita temporaneamente da M, cosicché una sera vennero a farle visita los hermanitos.

(Io non ero presente dunque questo racconto è la riproduzione di quanto riferito da M)

In quei giorni, per non meglio precisati motivi, la ragazza di Piero Armenti e Piero Armenti, non si stavano frequentando. In gergo tecnico si dice che erano in freddo
Quando vennero a farle visita los hermanitos, lei pensò bene di fargli un dispetto. 
Con gli hermanitos, infatti, arrivava anche la caña (gli alcolici), per lo più robaccia di inifimo livello e, di conseguenza, l'allegria... La ragazza di Piero Armenti era una Bukowski del gentil sesso: con la bottiglia ci andava giù pesante. 

Quando la serata, tra una battuta, una risata e una bevuta, era bella e avviata, la ragazza di Piero Armenti chiese se c'era qualcuno intenzionato a frustarla. Un hermanito si offrì volontario. Lei cercò fra le sue cose e ne tirò fuori un frustino. Lo passò all'hermanito. Tirò giù i pantaloni, si appoggiò al muro e l'hermanito prese a frustarla.
La ragazza di Piero Armenti prese a gridare che le piaceva essere trattata così, le piaceva fare il sadomaso e sconcezze simili...
 

La ragazza di Piero Armenti e alcuni hermanitos

Ad un certo punto un Piero Armenti spazientito dovette battere contro il muro per avere un po' di silenzio... ed è risaputo quanto gli fosse necessario un certo silenzio per concentrarsi al suo lavoro d'intellettuale. La tipa con cui era in freddo gli rispose per le rime, senza mai nominarlo, tanto che alcuni hermanitos cominciarono a chiederle cosa stesse accadendo.
 
Non so a che ora fossero andati a dormire, e poi come, dato che erano in 15 se non più e c'era un solo letto matrimoniale nel monolocale di M. 
Di fatto M era l'unica che all'indomani doveva alzarsi presto: alle 7 bisognava essere a scuola. Pardòn, alle 6 e 55 (cinque minuti prima e non cinque minuti dopo...)
Ma, quando il giorno seguente mi raccontò delle trasformazioni della ragazza di Piero Armenti, che ai miei occhi era una tipa piuttosto riservata, mi piegai in due dal ridere.

mercoledì 12 dicembre 2012

Storia di un quadro: "Lotta di cani" | Antonio Nazzaro, Andrea Dorato, Kyong Mazzaro

Nell'agosto del 2008 ritornai in Venezuela per riscuotere il meritato assegno estorto a quei papponi escualidos dell'associazione delinquenziale “Agustin Codazzi”. In quel periodo c'erano a Caracas diversi conoscenti, Piero Armenti, per esempio, che non mi è capitato di rivedere, neanche per sbaglio... In compenso ho potuto rivedere e riabbracciare la sua ex ragazza. Piero Armenti le stava facendo credere che voleva stabilirsi in Venezuela, mentre, proprio in quei giorni avevo avuto conferma del fatto che, di lì a poco, sarebbe andato via dal Venezuela. Definitivamente. 
Delle persone conosciute negli anni 2004-2006 a Caracas, ho incontrato Antonio Nazzaro, ex impiegato al Centro Italiano di Cultura, che in quel momento si barcamenava in alcuni non meglio precisati progetti pseudoculturali. Non sono riuscito a capire di cosa si occupasse Antonio Nazzaro né, principalmente, come. Ma, guardando le sue produzioni video, direi che lo scopo delle sue creazioni non fosse chiaro neanche a lui stesso. 
In compagnia di Nazzaro, c'erano alcune persone brillanti come Andrea Dorato e Kyong Mazzaro.


Andrea Dorato era l'“animatore culturale” dell'esclusivo club per aspiranti artisti “Antonio Nazzaro & company”. Un giorno ho visto Andrea Dorato scansionare alcune pagine da un libro per poi caricarle su un blog, pubblicandole seduta stante. Al momento non ho capito il senso di quell'operazione. Aveva scelto una pagina e via: scansione e pubblicazione. Senza alcun lavoro di rifinitura o di adeguamento ad immagini presenti o ad altri testi. Un'altra volta, in un momento di finto cameratismo, Andrea Dorato mi confessò di essere stato un ex squatter, ovvero quel tipo di giovani, per lo più di sinistra che occupano locali e case sfitte. L'affermazione mi lasciò perplesso: apparteneva a quel genere di confidenze non richieste che stonavano, e non poco, col marchio di fabbrica di chi le pronunciava... Si, perché il colore di Andrea Dorato virava decisamente al nero seppia (quel fascistello).

Lotta di cani (Kyong Mazzaro), olio su tela 1999 - Gianluca Salvati 

La giovane e brillante Kyong Mazzaro, mezza coreana e mezza italiana, restava la più enigmatica, forse per l'aspetto esotico, o più semplicemente, per l'estrazione familiare, ovvero quella sorta di imprinting dovuto all'ambiente di provenienza: costei si muoveva con la fissità e la calma vigile di un rettile. Al momento la Kyong Mazzaro si dava ai blog, almeno questa era la spiegazione che dava alla sua presenza. In realtà di lì a poco si è data alla carriera universitaria, dalla Sapienza di Roma alla Columbia University negli States.

Grazie a Kyong Mazzaro ho capito perché certe categorie di persone godono di privilegi sproporzionati alle loro mansioni, si pensi, ad esempio,  alle baronie accademiche in Italia.
Lì in mezzo, tra quella gente brillante non c'era neanche un microgrammo d'arte. Neanche per sbaglio. 
Era tutto una totale fiction. Tutto un fottuto bluff. Uno specchietto per allodole. Io ero un tordo capitato lì per caso, ma poi neanche tanto per caso: non era un caso che fossi finito lì a Caracas nel 2004, anzi... Col senno di poi, direi che la cosa fosse stata preparata con largo anticipo...

lunedì 26 novembre 2012

Piero Armenti & Antonio Nazzaro: storie di ordinaria disinformazione


In un' intervista ad Antonio Nazzaro, ex impiegato dell'Istituto Italiano di Cultura di Caracas, Piero Armenti offre l'ennesimo saggio di ordinaria disinformazione:


In particolare quando chiede al Nazzaro che elementi ha per la sua “autodenuncia” e questi gli risponde che alla Bolivar y Garibaldi, accettano di tutto, compreso (lui) professori non abilitati e senza titoli. Mentre al Codazzi, sotto la mala gestione di Anna Grazia Greco, continua il Nazzaro, prendono solo professori abilitati... 
Piero Armenti resta in silenzio per qualche infinito secondo a questa patetica affermazione. Piero Armenti sa bene, a meno che non abbia seri problemi di amnesia (in tal caso sarebbe bene che cambiasse lavoro) che al Codazzi c'era una percentuale risibile di insegnanti abilitati. In particolare, nell'anno scolastico 2004/2005, su un totale di 6 insegnanti provenienti dall'Italia, c'ero solo io con l'abilitazione. 
L'anno successivo eravamo in 2.
M, la collega che viveva affianco alla casa di Piero Armenti, per esempio, lei non era abilitata. Immagino che in due anni di quasi convivenza questa informazione gli sarà arrivata. Inoltre, è altrettanto curioso che Piero Armenti ignorasse le denunce piovute sul Codazzi da parte di quel gruppo di insegnanti, M. compresa.
Sarebbe interessante sapere per quale motivo a Piero Armenti stanno tanto a cuore quel branco di escualidos idioti dell' “Agustin Codazzi”.


l'intervista ad Antonio Nazzaro è di Piero Armenti, l'apprendista


domenica 11 novembre 2012

Bruno Teodori e la capra, dirigente Mae al Codazzi prima di Anna Grazia Greco

Ogni qual volta ci si lamentava della pessima gestione della scuola Agustin Codazzi di Caracas, il pensiero andava a Bruno Teodori. Alcuni colleghi, me compreso, non avevano conosciuto il dirigente Mae Bruno Teodori, ma non era necessario perché la fama della sua equanimità persisteva: era un dato acquisito e tangibile. Quando invece c'era Anna Grazia Greco, già primadonna al liceo Cicognini di Prato, le cose hanno preso tutt'altra piega...
Non è una questione di genere, ovviamente, ma di capacità. Anna Grazia Greco era inadatta per quel ruolo, mi domando tutt'oggi chi ce l'abbia piazzata lì. Quella fuorilegge...


Ad ogni modo, noialtri sembravamo tanti figli orfani, orfani e  nostalgici, di Bruno Teodori. Ora, non sono in grado di stabilire cosa sia successo in quel 2004, quando il dirigente è venuto a mancare, ma, col senno di poi, quella vicenda mi risulta più torbida di tante altre accadute in quell'ambientino di serpenti a sonagli. Sulla scorta di quell'esperienza, sarei tentato dal dire che le persone veramente valide rappresentano un problema per il regime
Non di questo ha bisogno il potere, specie se si tratta di un potere tutto chiacchiere e distintivo. In tal caso, una persona valida rappresenta indubbiamente un intralcio: il regime predilige di fatto le capre agli elementi validi. 

Analisi comparativa fra un buon dirigente e una capra

Una capra non fa domande. Non ragiona. Nel caso ragionasse, si tratterebbe di pensieri molto elementari e schematici. Insomma il regime non ha bisogno di menti capaci di pensiero autonomo bensì di meri esecutori: meno sale in zucca hanno e meglio sono...
Povera Italia...

giovedì 16 agosto 2012

La combriccola di imbranati del Codazzi: "Gli amici degli amici" | Piero Armenti - Servi di regime: Paolo Scartozzoni e la commissione Mae

Esame superato
Caracas- E’ quasi fatta. La scuola Codazzi, unica scuola italiana in Venezuela, sicuramente otterrá il riconoscimento della ” paritá scolastica” dopo la visita di una commissione interministeriale composta da Ornella Scarpellini, Donatella Angioni, e di cui era capodelegazione Paolo Scartozzoni, funzionario del Ministero degli Affari Esteri. Un riconoscimento, quello della “paritá”, reso necessario dalla introduzione delle riforma Moratti (ultimo governo Berlusconi) con la quale si è cercato di fare chiarezza nella intricata giungla delle scuole private . La Codazzi fino ad ora aveva ottenuto la paritá “con riserva”, da sciogliersi dopo una verifica ministeriale che, purtroppo, è stata fatta con grande ritardo. Alla fine peró la verifica è arrivata. E la nostra scuola ha aperto le porte alla delegazione. Paolo Scartozzoni, funzionario del Ministero degli Affari Esteri, nonostante i vaticini delle cassandre che non si stancano di lanciare tam tam allarmanti sulla salute e sul futuro della Scuola Codazzi, ha commentato: “In Venezuela la Codazzi ci ha lasciati soddisfatti, dal punto di vista didattico e anche dal punto di vista amministrativo. Certo ci sono da fare piccole correzioni, abbiamo dato alcuni consigli, ma il giudizio è positivo. Queste stesse verifiche le stiamo facendo anche in altre parti del mondo: Brasile, Colombia, Perú.”. Esame passato, quindi! Arriveranno anche i consueti finanziamenti statali, utilizzati da sempre per mantenere alta la qualitá didattica di un Istituto che gode di grande prestigio a Caracas . Ancora aperta, invece, la querelle sull’equivalenza del titolo di studio. Cerchiamo di sintetizzare: chi si diploma alla Codazzi, nella sezione didattica italiana, non puó accedere alle universitá venezuelane, a meno che l’ultimo anno di studi non sostenga oltre all’esame finale italiano, anche quello integrativo venezuelano. Un doppio lavoro, un impiccio che scoraggia molti a iscriversi.


Ma non è un problema insolvibile. Lo hanno già risolto varie altre scuole italiane in America Latina, recentemente anche quella di Montevideo. Non resta che augurarsi che anche in Venezuela le nostre autorità diplomatiche riescano a chiudere le trattative (giá aperte da tempo) con le autoritá venezuelane, portando a casa la tanto attesa equivalenza del titolo (niente doppio esame, quindi). Sará un vero e proprio toccasana, la soluzione di un problema che si trascina da tempo, risolto in passato con il passaggio di almeno un anno in un’università italiana, passaggio che oggi per la gran maggioranza degli studenti appare un’utopia. In altri casi l’ostacolo è stato aggirato con i titoli “comprati”. Una strada che appariva una facile alternativa viste la difficoltà che richiede studiare parallelamente per ottenere il diploma italiano e quello venezuelano. Eppure la maggioranza di questi studenti aveva un’ottima preparazione e lo dimostravano i buoni risultati ottenuti negli esami di ammissione alle università. Ma ovviamente titoli acquisiti irregolarmente non sono una soluzione e per alcuni giovani sono diventati un boomerang che ha bloccato i loro studi all’interno delle università locali. L’equivalenza diventa un diritto, una necessità di non poco conto ed è necessario che le autorità scolastiche e diplomatiche facciano tutti i passi necessari per ottenere l’ok dei due governi, quello italiano e quello venezuelano. C’è chi si chiede cosa vorranno in cambio le autoritá venezuelane nell’ inevitabile do ut des della politica. Per il momento su questo punto c’è stretto riserbo, girano alcune voci (come quello di una scambio in tecnologia, visto che controlli sul merito della didattica italiana da parte venezuelana non sarebbero ben graditi), ma appunto sono voci, e naturaliter dubbie. Comunque a giudizio della commissione ministeriale, che pur non si è occupata in prima persona di questo,le trattative sono a buon punto, manca poco. Ce lo auguriamo tutti.


Un ultimo appunto. La Codazzi sará (è) una scuola paritaria, quindi una scuola privata “pareggiata” ad una pubblica italiana, con la stessa funzione pubblica, per sintetizzare. E’ il caso di chiedersi se non sia opportuno attivare un sistema di finanziamenti, tramite borse di studio, che permettano a una quota di studenti italiani, che non possono pagarsi la retta, di avere ugualmente accesso alle sue aule.

lunedì 28 maggio 2012

Donne di mafia - Le gemelline dell'intrigo: Minerva Valletta & la señora Baffone

In realtà non sono parenti, anche se nella sostanza sono speculari l'una all'altra, per questo le chiamo le gemelline dell'intrigo. La prima è la Minerva Valletta, moglie del signor Bagordo, autista dell'ambasciata italiana di Caracas.
Minerva Valletta è anche la cugina del cantante neomelodico Franco de Vita, già commendatore del lavoro nel 2010, che nel 2004 pubblicava il Cd Stop.


Stop, Franco de Vita
 Il 2004 è anche l'anno in cui ho cominciato a lavorare per il Ministero degli Affari Esteri alla scuola Agustin Codazzi di Caracas. In quella scuola ho conosciuto le due piantagrane, sempre sopra le righe, di Minerva Valletta e Adline Borges 


Minerva Valletta, moglie dell'autista dell'ambasciata sig. Bagordo
 La seconda è la señora Baffone, Adline Borges, avvocato ed ex moglie del signor Baffone, il quale dal 2006 è al Cairo (Egitto) per lavoro. Di cosa si occupi costui non ne ho idea, ma, data la genia, credo nulla di buono.

Tabù istituzionali | Los escualidos dell'ass. "Agustin Codazzi" e il conto cifrato su banca svizzera, (Credit Suisse – filiale di Lugano)

Le gemelline dell'intrigo sono le factotum di quelle specie di latrine stagnanti che vanno sotto la sigla di associazione culturale senza scopo di lucro Agustin Codazzi di Caracas, cui va doverosamente aggiunto, con conto cifrato su banca svizzera: Credit Suisse - filiale di Lugano.  
Cosa se ne fanno di un conto cifrato quei quattro imbranati del Codazzi? 
Presumibilmente lo adoperano per ripulire denaro sporco, proveniente da attività illecite, traffico di droga e via dicendo o anche per finanziare attività illecite, ladrocini vari e operazioni sotto copertura... Conto cifrato significa che è impossibile risalire ai movimenti di soldi, al nominativo del conto bancario e finanche al nome della banca presso cui i soldi sono depositati.
Nulla dies sine linea, motto massonico dell'ass. Agustin Codazzi di Caracas

martedì 7 dicembre 2010

Massoneria filo-yankee: la cricca del Codazzi | Ambasciata italiana di Caracas 29/08/2008 - PERSONA NON GRADITA | Antonio Nazzaro, Andrea Dorato, Kyong Mazzaro

Non erano neanche le 8 di mattina, ma non volendo passare per l'hotel, mi recai direttamente all'ambasciata. Diciamo che, grazie ad Antonio Nazzaro, a quella troia di Kyong Mazzaro e al fascistello Andrea Dorato, avevo cominciato a farmi un'idea delle persone, per lo più italiani, che conoscevo dal 2005. Il quadro che ne veniva fuori non era affatto edificante: avevo cominciato a capire diverse situazioni strane che mi erano capitate. 

Enza Mejias, segretaria della scuola Agustin Codazzi
Conoscevo la zona in cui si trovava l'ambasciata, ma non l'edificio poiché non c'ero mai stato, così chiesi informazioni per strada.
Giù all'ingresso controllarono il passaporto, fui registrato e salii. All'ultimo piano, dove c'è l'ambasciata italiana, non c'era un anima. Parlai col carabiniere che era all'interno di una guardiola e teneva la cornetta del telefono all'orecchio. Mi disse di attendere.

Alla sinistra dell'ambasciata italiana, c'è l'ambasciata del Sudafrica, in quel momento erano presenti 3 o 4 dipendenti. Il carabiniere continuava a parlare al telefono. Ad un certo punto si presentò un'impiegata venezuelana. Mi accodai a lei per entrare. Il sottufficiale mi gridò che non potevo entrare: dovevo rimanere fuori. Attesi ancora, mentre la conversazione telefonica del carabiniere proseguiva intensa. Chissà con chi stava parlando. Forse qualche personcina di mia conoscenza... tipo quella capra fascista di Anna Grazia Greco... Quando ne ebbi abbastanza, mi avvicinai al vetro per sollecitare una risposta. Il carabiniere, evidentemente, non aspettava altro. Lo vidi spingersi in avanti: anche se non vedevo le sue mani, immaginai che avesse premuto qualche pulsante. In pochi attimi, dal lato opposto del pianerottolo, sbucò un energumeno di militare venezuelano: armato, corazzato e nervoso. Non mi lasciai impressionare, avevo comunque dei testimoni... ma non feci in tempo a feci in tempo a formulare questo pensiero che i dipendenti dell'ambasciata sudafricana, uno ad uno, andarono silenziosamente via, nelle stanze interne della loro istituzione, lasciando sedie e sportelli vuoti. "Che gioco è questo?", mi dissi. Per evitare malintesi tirai fuori il passaporto e rimasi con le mani in vista.

Il militare si avvicinò alla guardiola del carabiniere con una busta gialla da lettera, formato A4 o giù di lì, domandando se la doveva consegnare. La risposta era che quella busta non andava consegnata, ma pareva che i due militi stentassero a intendersi. Seguii quella pantomima tranquillamente. Il carabiniere sudava freddo. L'altro sembrava molto a suo agio. Il balletto andò avanti per un po', dopodiché il militare venezuelano sparì da dove era venuto. La lettera non era stata consegnata.

Mi riavvicinai alla guardiola del carabiniere per chiedere quando potevo entrare. Il benemerito mi gridò, più isterico di prima, che l'ambasciata si occupa di questioni politiche e non di cose private (questa l'avevo già sentita).  
Patria, perché sei... regime?

Dopo questa lezione di alta diplomazia, me ne andai piuttosto frustrato. Quando arrivò l'ascensore, incrociai un uomo distinto, capelli e baffi bianchi, certamente italiano. Salutai, in italiano. Cordialmente mi rispose. Solo dopo, quando scesi, realizzai che quel signore doveva essere l'ambasciatore e che il balletto precedente era terminato proprio in virtù del suo arrivo.

In seguito
Una volta a Como, ho scoperto che mi era scomparso l'attestato di lavoro della scuola "Agustin Codazzi" (2004/2005), firmato da Anna Grazia Greco e col timbro del consolato. Inoltre, si era volatilizzata la radiografia panoramica dei miei denti.
Sia la radiografia che l'attestato del Codazzi, li avevo portati a Como, da Napoli, pochi giorni prima di partire per Caracas.
Il 19/09/2008 mio fratello mi aveva chiamato dalla Spagna sul mio cellulare. Il mio telefonino squillava, anche se era spento da circa un mese, avendolo lasciato a Como.

Tempo dopo, parlando di questa esperienza con un amico, mi sentii rispondere: "...credevano che tu fossi un terrorista...". Gli gridai che quella gente di me conosceva "vita, morte e miracoli..." e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Quelle accozzaglie di spioni che sono le sedi diplomatiche, sapevano chi ero ben prima che mettesi il naso fuori dall'Italia. Ragionandoci, il mio amico dovette ammettere che la mia analisi era corretta.


Sono certo che in quell'Ambasciata avessero tutte le informazioni utili sul mio conto. Lo posso affermare con sicurezza perché:
  1. Nel Maggio 2005 avevo ricevuto l'invito personale per una cena all'Ambasciata italiana (invito che declinai)
  2. Nell'anno scolastico 2004/05 c'era tra i miei alunni il figlio di un carabiniere dell'Ambasciata italiana
  3. Alla scuola Codazzi erano iscritti entrambi i figli dell'ambasciatore di allora
  4. Per la partecipazione al Premio Italia, avevo dovuto presentare copia del curriculum artistico (due partecipazioni, due curriculum)
  5. Volente o nolente la cerchia di colleghi italiani che frequentavo era assortita da personaggi del sottobosco diplomatico, sia del consolato, sia dell'ambasciata, i vari: Piero Armenti, Enrico De Simone, Carlo Fermi e Antonio Nazzaro
  6. Infine, ma non secondario, c'è il marito di Minerva Valletta, il signor Bagordo, autista, anch'egli dipendente dell'ambasciata italiana di Caracas
Per questo affermo che da quelle parti avessero materiale a sufficienza su di me per scrivere un libro. L'unica novità di quel 2008 rispetto al 2006 consisteva nell'aver vinto la causa contro quegli assassini legali del Codazzi. Questa era la piaga che avevo toccato con la mia denuncia, scoperchiando il fatto che quella gente si è dimostrata in malafede da subito. Quelli del Codazzi sono stati degli infami assassini e imbroglioni sin da prima che mi conoscessero: questa è l'unica verità che è saltata fuori, tutto il resto è volgarissimo insabbiamento, fatto per lo più da gente abituata a mentire ed a strumentalizzare le circostanze coi peggiori sotterfugi.
Gianluca Salvati



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Gianluca Salvati - Lotta di cani

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