Non erano neanche le 8 di mattina, ma non volendo passare per l'hotel, mi recai direttamente all'ambasciata. Diciamo che, grazie ad Antonio Nazzaro, a quella troia di Kyong Mazzaro e al fascistello Andrea Dorato, avevo cominciato a farmi un'idea delle persone, per lo più italiani, che conoscevo dal 2005. Il quadro che ne veniva fuori non era affatto edificante: avevo cominciato a capire diverse situazioni strane che mi erano capitate.
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Enza Mejias, segretaria della scuola Agustin Codazzi |
Conoscevo la zona in cui si trovava l'ambasciata, ma non l'edificio poiché non c'ero mai stato, così chiesi informazioni per strada.
Giù all'ingresso controllarono il passaporto, fui registrato e salii. All'ultimo piano, dove c'è l'ambasciata italiana, non c'era un anima. Parlai col carabiniere che era all'interno di una guardiola e teneva la cornetta del telefono all'orecchio. Mi disse di attendere.
Alla sinistra dell'ambasciata italiana, c'è l'ambasciata del Sudafrica, in quel momento erano presenti 3 o 4 dipendenti. Il carabiniere continuava a parlare al telefono. Ad un certo punto si presentò un'impiegata venezuelana. Mi accodai a lei per entrare. Il sottufficiale mi gridò che non potevo entrare: dovevo rimanere fuori. Attesi ancora, mentre la conversazione telefonica del carabiniere proseguiva intensa. Chissà con chi stava parlando. Forse qualche personcina di mia conoscenza... tipo quella capra fascista di Anna Grazia Greco... Quando ne ebbi abbastanza, mi avvicinai al vetro per sollecitare una risposta. Il carabiniere, evidentemente, non aspettava altro. Lo vidi spingersi in avanti: anche se non vedevo le sue mani, immaginai che avesse premuto qualche pulsante. In pochi attimi, dal lato opposto del pianerottolo, sbucò un energumeno di militare venezuelano: armato, corazzato e nervoso. Non mi lasciai impressionare, avevo comunque dei testimoni... ma non feci in tempo a feci in tempo a formulare questo pensiero che i dipendenti dell'ambasciata sudafricana, uno ad uno, andarono silenziosamente via, nelle stanze interne della loro istituzione, lasciando sedie e sportelli vuoti. "Che gioco è questo?", mi dissi. Per evitare malintesi tirai fuori il passaporto e rimasi con le mani in vista.
Il militare si avvicinò alla guardiola del carabiniere con una busta gialla da lettera, formato A4 o giù di lì, domandando se la doveva consegnare. La risposta era che quella busta non andava consegnata, ma pareva che i due militi stentassero a intendersi. Seguii quella pantomima tranquillamente. Il carabiniere sudava freddo. L'altro sembrava molto a suo agio. Il balletto andò avanti per un po', dopodiché il militare venezuelano sparì da dove era venuto. La lettera non era stata consegnata.
Mi riavvicinai alla guardiola del carabiniere per chiedere quando potevo entrare. Il benemerito mi gridò, più isterico di prima, che l'ambasciata si occupa di questioni politiche e non di cose private (questa l'avevo già sentita).
Patria, perché sei... regime?
Dopo questa lezione di alta diplomazia, me ne andai piuttosto frustrato. Quando arrivò l'ascensore, incrociai un uomo distinto, capelli e baffi bianchi, certamente italiano. Salutai, in italiano. Cordialmente mi rispose. Solo dopo, quando scesi, realizzai che quel signore doveva essere l'ambasciatore e che il balletto precedente era terminato proprio in virtù del suo arrivo.
In seguito
Una volta a Como, ho scoperto che mi era scomparso l'attestato di lavoro della scuola "Agustin Codazzi" (2004/2005), firmato da Anna Grazia Greco e col timbro del consolato. Inoltre, si era volatilizzata la radiografia panoramica dei miei denti.
Sia la radiografia che l'attestato del Codazzi, li avevo portati a Como, da Napoli, pochi giorni prima di partire per Caracas.
Il 19/09/2008 mio fratello mi aveva chiamato dalla Spagna sul mio cellulare. Il mio telefonino squillava, anche se era spento da circa un mese, avendolo lasciato a Como.
Tempo dopo, parlando di questa esperienza con un amico, mi sentii rispondere: "...credevano che tu fossi un terrorista...". Gli gridai che quella gente di me conosceva "vita, morte e miracoli..." e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Quelle accozzaglie di spioni che sono le sedi diplomatiche, sapevano chi ero ben prima che mettesi il naso fuori dall'Italia. Ragionandoci, il mio amico dovette ammettere che la mia analisi era corretta.
Sono certo che in quell'Ambasciata
avessero tutte le informazioni utili sul mio conto. Lo posso
affermare con sicurezza perché:
Nel Maggio 2005 avevo ricevuto
l'invito personale per una cena all'Ambasciata italiana (invito che declinai)
Nell'anno scolastico 2004/05 c'era
tra i miei alunni il figlio di un carabiniere dell'Ambasciata italiana
Alla scuola Codazzi erano iscritti
entrambi i figli dell'ambasciatore di allora
Per la partecipazione al Premio
Italia, avevo dovuto presentare copia del curriculum artistico (due
partecipazioni, due curriculum)
Volente o nolente la cerchia di
colleghi italiani che frequentavo era assortita da personaggi del
sottobosco diplomatico, sia del consolato, sia dell'ambasciata, i vari: Piero Armenti, Enrico De Simone, Carlo Fermi e Antonio Nazzaro
Infine,
ma non secondario, c'è il marito di Minerva Valletta, il signor Bagordo, autista, anch'egli dipendente dell'ambasciata italiana di Caracas
Per questo affermo che da quelle parti
avessero materiale a sufficienza su di me per scrivere un libro.
L'unica novità di quel 2008 rispetto al 2006 consisteva nell'aver
vinto la causa contro quegli assassini legali del Codazzi.
Questa era la piaga che avevo toccato con la mia denuncia,
scoperchiando il fatto che quella gente si è dimostrata in malafede
da subito. Quelli del Codazzi sono stati degli infami assassini e
imbroglioni sin da prima che mi conoscessero: questa è l'unica
verità che è saltata fuori, tutto il resto è volgarissimo
insabbiamento, fatto per lo più da gente abituata a mentire ed a
strumentalizzare le circostanze coi peggiori sotterfugi.
Gianluca Salvati