Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.
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sabato 28 giugno 2014

Il rientro a scuola | Piero Armenti: "Uccidetelo!" - Caracas, gennaio 2005

Quando rientrai a  scuola dopo l’avvelenamento, le vacanze natalizie erano terminate da qualche giorno. Ero debole e bianco come un lenzuolo. Un fantasma mi faceva un baffo. L’idea di riprendere a lavorare non mi allettava: l’insegnamento richiede un costante impegno e io non mi sentivo in forma. Nonostante la debolezza, però, miei alunni si comportarono bene. Era una seconda elementare ma di fatto si mostrarono comprensivi e non approfittarono della situazione. 
Detto ciò, c’era comunque uno strano silenzio nella scuola in quel periodo, come un senso di attonimento generale, e non solo nella mia classe.
La vita fuori scorreva come sempre, in Venezuela, in Italia e nel mondo succedevano cose.
A fine mese, il mitico Chavez rilasciava un’intervista in cui affermava che il socialismo non era morto. L’ho scoperta da poco, spulciando quell’interessantissimo archivio che è la versione digitale del quotidiano fascista de La Voce d’Italia. Archivio che è cominciato nel maggio del 2004, quando Piero Armenti ha cominciato a lavorare presso La Voce d'Italia e si è interrotto quando Piero Armenti è rientrato in Italia nell'autunno del 2008. In quella stessa data sono rientrati, direi con una certa fretta, sia Enrico De Simone che Daniela Corrieri, due romani alla corte della Greco (Anna Grazia, una fuorilegge a Caracas). Ed è piuttosto curioso che Enrico e Daniela siano ritornati in Italia a scuola appena cominciata. Entrambi lavoravano infatti alla scuola italiana Bolivar y Garibaldi di Caracas,
Tornando al gennaio 2005, qualche giorno dopo, ai primi di febbraio, Piero Armenti, apprendista periodista presso il suddetto giornale fascista, licenziava un articolo dal titolo “Uccidetelo!”. 
Non ricordo se l’avesse scritto sul quotidiano fascista per il quale lavorava o su uno dei tanti blog fascisti su cui ha scribacchiato in quel periodo,  poiché da un po’ di tempo quel bell’articolo, tanto esplicativo del personaggio che allora si faceva passare per chavista, è stato spurgato da internet... 
Non ricordo un titolo più stizzito di quello. Piero Armenti, ovviamente, parlava di Chavéz, ovvero di un non meglio identificato esule politico venezuelano che da Miami, Florida, pontificava in questi termini: “...l’unica soluzione per il problema Chavéz è una carabina da...” e  giù a descrivere dettagliatamente il tipo di fucile più idoneo per l’assassinio appena auspicato.
Bisogna dirlo, un articolo dal grande tenore politico, con un vastissimo orizzonte culturale... mi rammarico di non averlo salvato, oggi potrei riproporlo per la gloria del giornalista salernitano.
Di lì a poco moriva assassinato un connazionale a Caracas.


Cow boy, pennarello su carta stampata - Gianluca Salvati 2013


venerdì 27 giugno 2014

Caracas, dicembre 2004: l'avvelenamento | La famiglia di Franco Chirico

Il 27 settembre 2004 cominciai ad insegnare alla scuola italo-venezuelana "Agustin Codazzi" di Caracas.
Dopo un mese di insegnamento, percepii il primo stipendio, pur non avendo alcun contratto di lavoro. L'unico contratto che avevo, in una lingua che non conoscevo ancora, era quello con l'azienda sanitaria privata, la Sanitas. Questo contratto assicurativo in lingua spagnola sembrerebbe un dettaglio, ma, col senno di poi, ho capito che era un aspetto tutt'altro che trascurabile. Dopo Natale, infatti, fui vittima di un avvelenamento che mi ha quasi ammazzato: in quell'occasione non ebbi modo di chiedere soccorso perché la procedura era complicata e io non ero in grado di decifrarla nell'idioma, lo spagnolo, che ancora non conoscevo. Eppure, nelle telefonate fatte prima di partire, avevo messo al corrente la. dott.ssa Greco del fatto che non conoscessi lo spagnolo. Lei mi aveva risposto che era una lingua facile da imparare... Quando ebbi l'avvelenamento il collega con cui condividevo l'appartamento si trovava fuori città, a Merida, dalla sua fidanzata. Mi telefonò il capodanno per farmi gli auguri, e, nonostante l'avessi messo al corrente delle mie condizioni di salute, non si preoccupò di informare nessuno dei colleghi presenti a Caracas. Mi disse che non poteva fare gran ché da laggiù.

Caracas, dicembre 04
Il collega ritornò il 4 gennaio mattina. Lui e la sua fidanzata entrarono in casa silenziosamente. Io ero sveglio ma non parlai, aspettai che si affacciassero alla mia camera. Ricordo ancora la sua espressione nel rivedermi. Sembrò deluso e abbattuto, abbassò la testa e rivolto alla fidanzata disse che chiamava il pronto soccorso della Sanitas.

Quando la dottoressa e il suo assistente mi videro, sembrarono alquanto meravigliati di trovarmi vivo: mi trattarono come se la mia vita fosse appesa ad un filo. Mi prescrissero diversi medicinali e una serie di analisi. 


Prescrizione Sanitas

Il giorno seguente mi alzai e scesi di casa diretto alla clinica per le analisi.  
Il tassista non mi portò in una struttura Sanitas, bensì in un'altra clinica poco distante dal quartiere dove abitavo. Per me andava bene lo stesso, una clinica vale l'altra. (In realtà l'informazione era molto precisa: Clinica Sanitas di Plaza Altamira, era impossibile sbagliarsi, cosicché sono certo che il tassista mi abbia portato di proposito in un'altra clinica).
Tornato l'indomani per ritirare i risultati dei prelievi, fui spettatore di una strana rappresentazione: due infermiere discutevano sommessamente. L'argomento erano le mie analisi. Ad un certo punto capii ciò che dicevano: una disse all'altra che non era compito suo preoccuparsi del contenuto di quegli esami: doveva consegnarmeli e basta. 
Eppure mi davano l'idea di essere entrambe molto comprese rispetto al mio "accidente" e che stessero cercando di comunicarmi qualcosa in più oltre a quello che dicevano. 


Risultati alla mano, telefonai al centralino della Sanitas per parlare con la dottoressa che mi aveva visitato, dato che eravamo rimasti così. La dottoressa mi chiese i livelli di alcune voci delle analisi ed ebbe una reazione emotiva quando glieli comunicai. Mi chiese di ripetere il risultato di un parametro in particolare. Dal tono, di voce sembrava che stesse per piangere. Come se stentasse a credere a ciò che le comunicavo. Poi, di punto in bianco, la linea venne interrotta dalla voce di un uomo, il quale mi diceva che non potevo più parlare con la dottoressa perché era impegnata. Dovevo rivolgermi direttamente ad una struttura Sanitas.

Così feci, nonostante il mio aspetto e l'estrema debolezza. Il collega neanche stavolta si offrì di accompagnarmi ed io gli evitai la molestia di chiederglielo. Alla clinica "La Floresta" di Plaza Altamira (quartiere Chacao), provai a spiegare cosa dovevo fare ma non mi riuscì molto bene. Ad ogni modo mi fermai lì, in una delle sale d'attesa del piano inferiore della struttura, dove si facevano le analisi. Ad un certo punto un'assistente si offrì di mostrare le mie analisi ad un dottore internista. Così mi disse.

Quando ritornò, mi comunicò con un gran sorriso, che avevo avuto un dengue emorragico. Ebbi un certo sollievo a quest'affermazione, non so se perché si capiva che ero fuori pericolo, o perché, date le sue cause, non c'era dolo: il dengue infatti viene trasmesso da una zanzara e a me le zanzare mi adorano. 
Ai primi sintomi, invece, avevo pensato ad un avvelenamento, causato dal prosciutto cotto lasciato in frigo dal collega. Inutile dire che quando ho studiato i sintomi del dengue emorragico, ho riscontrato che non avevano alcuna attinenza con i sintomi da me riscontrati in quei giorni.

 Mentre allora presi per buona quella interpretazione detta per sviarmi, nonostante nei giorni successivi, alcune colleghe mi avessero invitato a sottopormi a una vera visita. Io ero dell'avviso di dimenticare quella vicenda quanto prima e preferii non indagare. Né lo comunicai ai miei familiari per non farli stare in pena.

Dimenticavo di dire che, pur avendo il numero della famiglia di Franco Chirico, che abitava a due passi da me (ma l'ho scoperto solo nel 2008), non mi ha neanche sfiorato il pensiero di telefonarli in quei giorni: sono certo che in tal caso le mie poche chance di sopravvivenza si sarebbero ridotte a zero... 

martedì 6 novembre 2012

Storia di un quadro: "Le Pharaon", olio su tela

"No comment!"


Il quadro Le Pharaon è un olio su tela realizzato a Caracas fra il febbraio e il maggio del 2005. Il dipinto si ispira sia a quell'autentico capolavoro che è il Cristo morto di Andrea Mantegna sia alla foto di Che Guevara ammazzato dai fascisti al soldo degli yankee.

Il tema non è casuale, pochi mesi prima di realizzarlo, tra il Natale 2004 e l'epifania 2005, avevo subito un avvelenamento che mi aveva tenuto appeso ad un filo per diversi giorni.
Non solo l'avvelenamento non era un fatto casuale ma era piuttosto eccezionale che per quei tempi, chiamato da una funzionaria del Ministero degli Esteri, fossi ancora senza contratto di lavoro; di conseguenza, dal 27 ottobre ero diventato clandestino a tutti gli effetti.
Clandestino e moribondo.

Come ho capito in seguito, non era un caso che fossi stato chiamato ad insegnare a Caracas dalla funzionaria del Ministero degli Esteri, Anna Grazia Greco. Questo trattamento anticostituzionale da parte di una dirigente della Pubblica Amministrazione, non ha impedito nel 2008, ad alcuni porci fascisti di quello stesso ministero, detto anche Farnesina, di diffamarmi. 
Ero ritornato a Caracas per riscuotere l'assegno della causa vinta contro il Codazzi e, a causa di costanti attenzioni da parte di certa gentaglia appartenente alla controparte, mi ero rivolto prima alle istituzioni italiane presenti sul territorio e successivamente all'unità di crisi ministero stesso, contattata dai miei familiari. E quale sorpresa vedere che tutte le mie affermazioni venivano costantemente distorte e rivolte contro di me, in sostanza quegli infami patentati mi stavano facendo passare per paranoico, quelle specie di impotenti, cornuti figli di troia che si nascondono dietro l'istituzione del Ministero degli Affari Esteri. 

Non avevo immaginato che potesse esserci un'unica mafia a gestire il tutto da Roma al Venezuela. Ma tant'è: non si finisce mai d'imparare...
Le sorprese non finiscono qui.

Al mio arrivo a Caracas nel 2004, avevo scoperto che un conoscente dei miei genitori, l'editore dei catecumeni Franco Chirico, aveva famiglia proprio nel quartiere dove avevo trovato lavoro e abitazione. 
Franco Chirico, quel sant'uomo, ha sempre minimizzato sulla questione sia coi miei genitori che con i miei familiari.
Di fatto, quando ho conosciuto nel 2008 la nipote di Franco Chirico, la sensazione che quella tipa insignificante fosse un presenza piuttosto familiare, ovvero di aver avuto quella sciacquetta davanti ai coglioni in diverse occasioni, ecco quella sensazione lì è stata molto netta e precisa.
Franco Chirico è il principale editore della setta cattolica dei catecumeni ed è amico di Kiko Arguello.
Kiko Arguello, già ex pittore fallito, è il leader dei catecumeni e loro santino ante litteram

giovedì 20 settembre 2012

Paolo Scartozzoni & los escualidos del Codazzi: la finta emergenza sanitaria in Venezuela e l'emergenza legalità in Italia | Escuela Agustin Codazzi, Caracas - Anna Grazia Greco

Poco tempo dopo, alcuni organi d'informazione di stampo imperialista, che lì a Caracas erano all'opposizione sotto il nome di los escualidos, hanno cominciato a tambureggiare sui media nientemeno che un'emergenza sanitaria a livello nazionale. Una roba fantascientifica. E molto casualmente, quando mi sono ripreso dal pernicioso avvelenamento, nella clinica dell'azienda sanitaria Sanitas, hanno provato a convincermi che avevo avuto un dengue emorragico
Al momento sono anche riusciti a farmelo credere: ero convinto che quell'emergenza sanitaria esistesse davvero. Emergenza dengue, dunque.

Paolo Scartozzoni, funzionario Mae in visita a Caracas

Il contratto con la Sanitas l'avevo firmato dietro indicazione della "Giunta Direttiva" del Codazzi ed è anche l'unico contratto legale che possa vantare dopo ben 2 anni di lavoro con quella gentaglia. Si noti bene: convocato dal Ministero degli Esteri, tramite Anna Grazia Greco, che aveva preso il posto del dirigente Bruno Teodori.
Avevo dimenticato di aggiungere che, nel dicembre 2004, mentre stavo morendo, scaduto il visto turistico, ero diventato anche clandestino. Il che all'atto pratico vuol dire che un qualsiasi figlio di puttana, tipo quel cornuto figlio di troia dell'attuale capo della "Giunta Direttiva" del Codazzi, Adriano Giovenco, avrebbe tranquillamente potuto affermare che "loro" a me non mi conoscevano, dunque io ero andato fin lì per sport... 

Queste non sono speculazioni, né dietrologia, ma la banalissima realtà dei fatti. Nel 2006, infatti, in un tribunale, quei signori hanno fatto queste precise affermazioni. False. Con la piccola differenza che, essendo sopravvissuto, li ho potuti non solo contraddire, ma anche sputtanare con le loro stesse menzogne. Punto.


Ule, Escuela Agustin Codazzi Caracas - stencil art 2006

lunedì 28 maggio 2012

Consorterie: la cricca del Codazzi | Clandestino in Venezuela - Paolo Scartozzoni e la pagliacciata della commissione Mae - Bruno Teodori

A raccontarla sembra una storia incredibile. Per fortuna, ciò che affermo lo posso anche documentare con ben tre sentenze dei tribunali del Venezuela, dato che a suo tempo mi sono rivolto alla Giustizia di quel Paese. Così ho appreso (ma l'ho scoperto in un secondo momento) di aver lavorato quasi due anni senza essere formalmente regolarizzato alla normativa del lavoro del Venezuela. Come risulta dalla prima sentenza, quei cornuti dell'associazione di chiaviche del Codazzi, si erano presi la briga di segnalare la relazione di lavoro presso gli organismi preposti solo a fine rapporto, nel 2006. 
Immagino che su quest'aspetto avrebbe dovuto vigilare la dirigente della Pubblica Amministrazione, Anna Grazia Greco
Cosa che non fece. Cosicché il contratto di lavoro era diventato un miraggio, e sto parlando di un contratto annuale, da precariato tout court
I colleghi mi dicevano che, l'anno precedente (2003/04), avevano ottenuto il contratto senza problemi. Già, ma c'era un altro dirigente, il professor Bruno Teodori, che conosceva il proprio mestiere e sapeva farsi rispettare da quella gentaglia.

omaggio a Bruno Teodori, una persona onesta
 Inoltre, mi ripetevano i colleghi: “Vedrai che il contratto ce lo faranno firmare prima di Natale...” Il contratto non giunse neanche per quella data (dicembre 2004), in compenso a me, in quel periodo arrivò l'accidente, un avvelenamento che mi stava quasi stroncando.

Cedula de identitad, (fasulla), ottenuta dietro corruzione di Pubblico Ufficiale

Crcs05: all'attenzione di Paolo Scartozzoni, funzionario Mae
 
 Minerva Valletta, olio su tela 2005 Caracas - Gianluca Salvati
Quando il 12 gennaio ritornai a scuola, ero clandestino a tutti gli effetti: il visto turistico era scaduto  da più di due mesi
Dopo circa un mese mi mandarono con altri colleghi a fare la cedula, la carta d'identità venezuelana. Quando provai a rinnovarla, nel giugno dell'anno successivo, scoprii che era pressoché impossibile: quelle latrine vaganti dell'ass. Agustin Codazzi avevano corrotto un funzionario per omettere gli intrallazzi e le irregolarità commesse. Come se l'idea di regolarizzarmi non fosse nei progetti di quella gentaglia neanche alla lontana. Dunque il mio rientro non era stato previsto e dovette risultare parecchio destabilizzante per quella feccia e per i loro padrini politici.
Tanto per avere un'idea del livello di insabbiamento adottati in favore di quelle specie di latrine stagnanti del Codazzi basta leggere l'articolo, molto parziale a dire il vero, scritto da Piero Armenti dopo la "visita ufficiale" della delegazione Mae. 

lunedì 3 maggio 2010

Max Mauro - Un pittore napoletano a Caracas - La Voce d'Italia

CARACAS– Che ci fa un pittore napoletano a Caracas? E’ la prima domanda che il cronista si pone incontrando Gianluca Salvati, artista figurativo con alle spalle diverse mostre collettive e una personale nella città di origine, che da due anni risiede nella capitale venezolana.
Sono arrivato come insegnante della scuola italiana Codazzi”, risponde con un sorriso aperto e il tipico accento della sua terra di origine questo giovane che non dimostra i suoi 38 anni. “A un certo punto della mia vita mi sono trovato di fronte a una scelta: vivere di pittura facendo delle opere commerciali oppure trovarmi un lavoro che mi consentisse di continuare a dipingere ciò che più mi piace, senza badare al mercato. Così ho rispolverato il diploma magistrale che ho conseguito prima di compiere gli studi all’accademia dell’arte di Napoli e mi sono immerso nell’insegnamento”. Prima di arrivare in Venezuela, Gianluca ha vissuto per un anno a Casablanca, in Marocco, lavorando sempre come insegnante di italiano. Sembra che la sua vita sia legata all’incontro con altre culture, allo spaesamento di chi decide di vivere lontano da casa. Un emigrante moderno o un artista alla ricerca di stimoli?
Mi piace entrare in contatto con altre culture, ma non è stata una decisione programmata quella di venire in Venezuela o andare in Marocco. Si è presentata l’occasione e l’ho colta, tutto qua. E’ chiaro che tutto quello che vedo e assorbo nei luoghi i cui vado mi trasmette qualcosa che in un modo o nell’altro poi traspongo nei quadri”. Nel suo periodo venezolano ha creato sette opere, sette quadri di forte impatto emotivo, perché tutti hanno per protagonisti figure umane, ritratte in posizione distesa, viste di fronte. “Una delle prime cose che mi hanno colpito a Caracas erano le persone distese in strada, mendicanti e barboni. Vedevo qui corpi e mi veniva istintivo di raccogliere degli schizzi o di fotografarli. Non l’ho fatto, per pudore o rispetto, ma poi, quando ho sentito il bisogno di dipingere, ho affittato uno studio e il risultato del mio lavoro sono questi quadri”.
Il rapporto di Gianluca con la pittura è molto intenso, ammette che è la cosa che gli piace più fare nella vita, ma trascorre lungo periodi senza dipingere. “Fin da piccolo ho avuto la passione per i colori e il disegno. La mia è una famiglia di musicisti: la nonna, il babbo, i miei due fratelli, tutti musicisti. Io sono l’unico che si dedica alla pittura, però passo dei lunghi periodi in cui non mi avvicino alla tela. Per dipingere serve tranquillità e in certi momenti devi lasciare maturare le sensazioni che vuoi trasmettere dipingendo, devi studiare, ricercare”.
Nei primi tempi non riusciva ad abituarsi al clima dei Caraibi e soprattutto all’assenza delle stagioni come si vivono in Italia, ma ora si è affezionato al paese. “Ci sono dei paesaggi spettacolari e il ritmo della vita è più rilassato, meno stressante. E poi stando in America Latina ho avuto modo di conoscere le opere di grandi artisti come il venezolano Jesus Soto o il messicano Rufino Tamayo. Mi piace molto anche l’artigianato indigeno, i lavori fatti a mano”, dice.
Chiusa l’esperienza alla scuola italiana, Gianluca sta ora seguendo un corso di grafica, altra sua passione, e programma il rientro in Europa. Prima di partire deve tuttavia prendere una decisione: che fare dei quadri realizzati in Venezuela? “Al principio non mi piacevano, poi ho cambiato idea e forse alcuni li porterò con me, anche se non è facile svolgere la tela, rischi di rovinarli. Insomma, non ho ancora ben chiaro che farne, forse li regalerò. Venderli? Non li ho pensati per questo”.
Pubblicato il 08 maggio 2006 da Max Mauro-9/5/06

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Gianluca Salvati - Lotta di cani

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