Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.

mercoledì 15 dicembre 2010

Diritti e doveri | Como, 6 ottobre 2010: Mariastella Gelmini - Franco Frattini

Gianluca Salvati  | via ...... - 22100 Como  |  cell. .........  |  email: ........
Ministero degli Esteri
Palazzo della Farnesina
Roma
e.p.c. Ministero dell'Istruzione


Spett.le ministro, mi chiamo Gianluca Salvati sono un maestro di scuola primaria che ha insegnato all'estero. Ho lavorato dal 2003 al 2004 a Casablanca (Marocco) e dal 2004 al 2006 a Caracas (Venezuela). Essendo stato chiamato da funzionari del suo ministero mi piacerebbe avere chiarimenti in merito ad alcune vicende:


·   Vorrei sapere dove sono i contributi di quei 3 anni di insegnamento, dato che NON HO AUTORIZZATO NESSUNO A DERUBARMI.
· Come mai il 29/08/2008, all'ambasciata italiana di Caracas, mi è stato riservato un trattamento da PERSONA NON GRADITA? Non ho mai commesso reati e pago regolarmente le tasse!
· Per quale motivo, nei giorni successivi al 30/08/2008, impiegati della Farnesina contattati dai miei familiari, hanno osato mettere in dubbio il mio equilibrio psichico ?


Distinti saluti
Como, 06/10/2010
Gianluca Salvati

on. Franco Frattini, ex  ministro degli Affari Esteri





venerdì 10 dicembre 2010

Consorterie: la cricca del Codazzi | Consolato Generale di Caracas – Anna Grazia Greco & la señora Baffone

Data la situazione poco amichevole che trovai in quei giorni, decisi di anticipare la partenza per l'Italia. Così, dopo aver provato senza successo alla sede dell'Alitalia, mi recai al Consolato Generale d'Italia, reame di Anna Grazia Greco.
Era un mercoledì mattina verso le 8, dunque il consolato non era aperto al pubblico. Alle 10 avevo appuntamento con una ex-collega in un bar di Chacao: lo stesso quartiere dove si trova il consolato. Per puro caso, recandomi al consolato, avevo assistito dal taxi a una scenetta molto istruttiva: la conoscente che dovevo incontrare parlava con una personcina di mia conoscenza la señora Baffone con la sua tirapiedi. La señora Baffone era la cognata di Minerva Valletta (vd. post Poco più di un megafono) ed era tra quegli avvocati del Codazzi che davanti al giudice avevano affermato di non conoscermi...
 

La foto qui allegata, appunto, dimostra invece, casomai ce ne fosse bisogno, che io la conoscevo bene.

la señora Baffone
Per l'animosità che dimostravano la señora Baffone e la mia ex collega, non lasciavano molti dubbi sul tipo di sorpresa che avrei ricevuto in quel bar di Chacao quella mattina: ad occhio e croce avrei detto che stessero studiando il modo migliore per farmelo andare di traverso, quel caffé...


In portineria chiesi della dott.ssa Greco. Il custode sembrò disponibile, chiese il mio nome e parlò al citofono. Mi rispose che la dottoressa era impegnata al telefono e dovevo attendere il carabiniere per il mio caso. Tradotto in italiano: la dottoressa Anna Grazia Greco non voleva vedermi.
Quando giunse il carabiniere in consolato, col suo scooter, sembrava il console in persona per com'era rilassato. Appena parlò col custode, però, gli si stravolse la faccia. Potei cogliere la sua espressione in pieno, perché, dandomi le spalle, in quel momento si era girato per guardarmi.
Il carabiniere salì in consolato. Quando tornò, impettito, in uniforme, si diresse verso di me che attendevo fuori dal cancello.
Mi presentai, gli spiegai della causa vinta contro la Giunta del Codazzi e delle situazioni che mi stavano accadendo in quei giorni. Gli dissi che volevo anticipare il rientro in Italia. L'appuntato, dopo avermi ascoltato, mi rispose che non avevo elementi per le mie affermazioni. Secondo lui, avrei dovuto riportare qualche segno tangibile, come ferite o altro... Disse che lui stesso era stato attraccato (=rapinato) diverse volte perché “... è il paese che è pericoloso...”. Inoltre, aggiunse che il consolato non è un'agenzia di viaggi, dove potevo cambiare le date dei voli a mio piacimento. 
Allora gli dissi: “...e se questi figli di puttana mi stanno preparando uno scherzetto?”, riferendomi a quei farabutti della Giunta del Codazzi, gli si stravolse nuovamente la faccia e questa reazione fu più eloquente di quanto potesse immaginare.
Chiesi della Greco. Mi disse che era in riunione col console (questa scusa la conoscevo già).
Certo, non potevo obbligarla a ricevermi, anche se costei mi aveva chiamato personalmente (settembre 2004) per insegnare al Codazzi. E non si era mai preoccupata per i professori: l'unico professore proveniente dall'Italia a vantare un contratto nel primo anno di insegnamento era un suo amico. In quel momento, quel mercoledì mattina, non pretendevo niente, potevo ben capire la sua frustrazione: non si aspettava che mi presentassi in consolato, sapendo che dovevo andare in quel bar di Chacao... Non a caso.
Non è necessario scaldare la poltrona di un ufficio diplomatico per elaborare correttamente le informazioni: che ci fosse il suo zampino dietro quell'incontro lo sapevo dalla sera prima, quando la mia ex-collega mi diede l'appuntamento. Ora ne ricevevo la conferma. Punto.
Gianluca Salvati

p.s. Non andai all'appuntamento in quel bar, ma avvisai comunque la mia conoscente

martedì 7 dicembre 2010

Massoneria filo-yankee: la cricca del Codazzi | Ambasciata italiana di Caracas 29/08/2008 - PERSONA NON GRADITA | Antonio Nazzaro, Andrea Dorato, Kyong Mazzaro

Non erano neanche le 8 di mattina, ma non volendo passare per l'hotel, mi recai direttamente all'ambasciata. Diciamo che, grazie ad Antonio Nazzaro, a quella troia di Kyong Mazzaro e al fascistello Andrea Dorato, avevo cominciato a farmi un'idea delle persone, per lo più italiani, che conoscevo dal 2005. Il quadro che ne veniva fuori non era affatto edificante: avevo cominciato a capire diverse situazioni strane che mi erano capitate. 

Enza Mejias, segretaria della scuola Agustin Codazzi
Conoscevo la zona in cui si trovava l'ambasciata, ma non l'edificio poiché non c'ero mai stato, così chiesi informazioni per strada.
Giù all'ingresso controllarono il passaporto, fui registrato e salii. All'ultimo piano, dove c'è l'ambasciata italiana, non c'era un anima. Parlai col carabiniere che era all'interno di una guardiola e teneva la cornetta del telefono all'orecchio. Mi disse di attendere.

Alla sinistra dell'ambasciata italiana, c'è l'ambasciata del Sudafrica, in quel momento erano presenti 3 o 4 dipendenti. Il carabiniere continuava a parlare al telefono. Ad un certo punto si presentò un'impiegata venezuelana. Mi accodai a lei per entrare. Il sottufficiale mi gridò che non potevo entrare: dovevo rimanere fuori. Attesi ancora, mentre la conversazione telefonica del carabiniere proseguiva intensa. Chissà con chi stava parlando. Forse qualche personcina di mia conoscenza... tipo quella capra fascista di Anna Grazia Greco... Quando ne ebbi abbastanza, mi avvicinai al vetro per sollecitare una risposta. Il carabiniere, evidentemente, non aspettava altro. Lo vidi spingersi in avanti: anche se non vedevo le sue mani, immaginai che avesse premuto qualche pulsante. In pochi attimi, dal lato opposto del pianerottolo, sbucò un energumeno di militare venezuelano: armato, corazzato e nervoso. Non mi lasciai impressionare, avevo comunque dei testimoni... ma non feci in tempo a feci in tempo a formulare questo pensiero che i dipendenti dell'ambasciata sudafricana, uno ad uno, andarono silenziosamente via, nelle stanze interne della loro istituzione, lasciando sedie e sportelli vuoti. "Che gioco è questo?", mi dissi. Per evitare malintesi tirai fuori il passaporto e rimasi con le mani in vista.

Il militare si avvicinò alla guardiola del carabiniere con una busta gialla da lettera, formato A4 o giù di lì, domandando se la doveva consegnare. La risposta era che quella busta non andava consegnata, ma pareva che i due militi stentassero a intendersi. Seguii quella pantomima tranquillamente. Il carabiniere sudava freddo. L'altro sembrava molto a suo agio. Il balletto andò avanti per un po', dopodiché il militare venezuelano sparì da dove era venuto. La lettera non era stata consegnata.

Mi riavvicinai alla guardiola del carabiniere per chiedere quando potevo entrare. Il benemerito mi gridò, più isterico di prima, che l'ambasciata si occupa di questioni politiche e non di cose private (questa l'avevo già sentita).  
Patria, perché sei... regime?

Dopo questa lezione di alta diplomazia, me ne andai piuttosto frustrato. Quando arrivò l'ascensore, incrociai un uomo distinto, capelli e baffi bianchi, certamente italiano. Salutai, in italiano. Cordialmente mi rispose. Solo dopo, quando scesi, realizzai che quel signore doveva essere l'ambasciatore e che il balletto precedente era terminato proprio in virtù del suo arrivo.

In seguito
Una volta a Como, ho scoperto che mi era scomparso l'attestato di lavoro della scuola "Agustin Codazzi" (2004/2005), firmato da Anna Grazia Greco e col timbro del consolato. Inoltre, si era volatilizzata la radiografia panoramica dei miei denti.
Sia la radiografia che l'attestato del Codazzi, li avevo portati a Como, da Napoli, pochi giorni prima di partire per Caracas.
Il 19/09/2008 mio fratello mi aveva chiamato dalla Spagna sul mio cellulare. Il mio telefonino squillava, anche se era spento da circa un mese, avendolo lasciato a Como.

Tempo dopo, parlando di questa esperienza con un amico, mi sentii rispondere: "...credevano che tu fossi un terrorista...". Gli gridai che quella gente di me conosceva "vita, morte e miracoli..." e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Quelle accozzaglie di spioni che sono le sedi diplomatiche, sapevano chi ero ben prima che mettesi il naso fuori dall'Italia. Ragionandoci, il mio amico dovette ammettere che la mia analisi era corretta.


Sono certo che in quell'Ambasciata avessero tutte le informazioni utili sul mio conto. Lo posso affermare con sicurezza perché:
  1. Nel Maggio 2005 avevo ricevuto l'invito personale per una cena all'Ambasciata italiana (invito che declinai)
  2. Nell'anno scolastico 2004/05 c'era tra i miei alunni il figlio di un carabiniere dell'Ambasciata italiana
  3. Alla scuola Codazzi erano iscritti entrambi i figli dell'ambasciatore di allora
  4. Per la partecipazione al Premio Italia, avevo dovuto presentare copia del curriculum artistico (due partecipazioni, due curriculum)
  5. Volente o nolente la cerchia di colleghi italiani che frequentavo era assortita da personaggi del sottobosco diplomatico, sia del consolato, sia dell'ambasciata, i vari: Piero Armenti, Enrico De Simone, Carlo Fermi e Antonio Nazzaro
  6. Infine, ma non secondario, c'è il marito di Minerva Valletta, il signor Bagordo, autista, anch'egli dipendente dell'ambasciata italiana di Caracas
Per questo affermo che da quelle parti avessero materiale a sufficienza su di me per scrivere un libro. L'unica novità di quel 2008 rispetto al 2006 consisteva nell'aver vinto la causa contro quegli assassini legali del Codazzi. Questa era la piaga che avevo toccato con la mia denuncia, scoperchiando il fatto che quella gente si è dimostrata in malafede da subito. Quelli del Codazzi sono stati degli infami assassini e imbroglioni sin da prima che mi conoscessero: questa è l'unica verità che è saltata fuori, tutto il resto è volgarissimo insabbiamento, fatto per lo più da gente abituata a mentire ed a strumentalizzare le circostanze coi peggiori sotterfugi.
Gianluca Salvati



mercoledì 1 dicembre 2010

Poco più di un megafono - Anna Grazia Greco & Minerva Valletta

La mia collega al Codazzi, M, era una vera donna di mondo: viveva a casa lo stretto necessario, passando il resto del tempo in giro.

Fin dal suo arrivo a Caracas, nel febbraio 2005, era stata presa in consegna dalla dirigente, Anna Grazia Greco, di cui sembrava essere la dama di compagnia e da Minerva Valletta che nel primo mese di permanenza a Caracas mise a disposizione di M la casa dei propri genitori (o dei suoceri, non ricordo), senza chiedere neanche un minimo di affitto (il tempo per far trovare un appartamento a Piero Armenti, che al Consolato Generale di Caracas, regno di Anna Grazia Greco, la fuorilegge, era di casa: a costui serviva un appartamento da condividere con M, come si vedrà in seguito). 
Ovviamente M era una persona con la coscienza a posto, integra e leale; talmente socievole che parlava e frequentava tutti, dal delinquente di quartiere al diplomatico d'ambasciata. Era, come avrebbe detto Kipling, capace di parlare con il ladro e con il re. Per questo motivo rappresentava, a sua insaputa, un formidabile megafono per chi avesse voluto attingere ad un certo tipo di informazioni. A volte la prendevo in giro per le sue frequentazioni, per lo più gente che non mi andava a genio. Non mettevo in dubbio la sua buona fede, ma avevo il sentore che la sua mondanità potesse essere sfruttata per carpirle informazioni, per esempio sulle mosse che prendemmo durante il secondo anno scolastico (2005/2006) per contrastare le infami decisioni di quei pezzenti della Giunta del Codazzi. Così a volte mi informavo per verificare se qualcuno approfittasse di lei... 
Una volta, era presente una nostra conoscente, Daniela Corrieri, avevo chiesto a M se Minerva Valletta, della giunta del Codazzi (moglie del signor Bagordo, autista all'Ambasciata italiana di Caracas) una che con lei faceva l'amica, avesse fatto domande su di me. 
M rispose che se anche ne avesse fatte, lei avrebbe saputo come dribblarle. In quel momento si intromise Daniela, dicendo che se volevano farla parlare, l'avrebbero fatto, suo malgrado. La risposta spiazzò M, e, devo dire, anche me, ma la trovai più sensata di quanto le fosse consentito. Daniela Corrieri sapeva quel che diceva perché, nonostante fosse poco affidabile, aveva esperienza di queste cose. 
Era stata la compagna di uno che, a quei tempi (2006), faceva parte della scorta personale di Silvio Berlusconi. 

Minerva Valletta

Quando, tempo dopo, mi sono occupato ad apprendere i metodi utilizzati da infami di professione o, solo infami e basta, per estorcere informazioni ad una persona, ho scoperto che in Venezuela viene adoperata una sostanza, la burundanga. Questa droga proveniente dalla Colombia, viene usata, tra l'altro, come siero della verità. Per farla agire è sufficiente aggiungerla, ad esempio, ad una bibita. Anche in Venezuela il suo utilizzo è illegale, ciononostante è risaputo che viene utilizzata. Ne segnala l'utilizzo la guida Lonely Planet, sia quella del Venezuela, sia quella della Colombia. E non è escluso che la si usi anche in Italia, dato che dalla Colombia e dal Venezuela arrivano più note sostanze. Però, va detto: finora nessuna droga ha dimostrato potenzialità ipnotico-anestetiche e maggiore potere di istupidimento della televisione, in particolare quella commerciale...


A questo punto, vorrei spezzare una lancia a favore del Messico. Si parla spesso dei narcos messicani, e finché si fa riferimento al mercato di coca statunitense, il discorso ha un senso. Ma quando si parla dei carichi per il vecchio continente, non si capisce perché la coca debba fare tanti chilometri in più, andando su e giù per l'america centrale (con quello che costano oggi i carburanti, per giunta). Non si fa mai menzione al Venezuela, come se il Paese scomparisse dalle rotte della geografia criminale o da quelle dell'Interpol. E non è chiaro perché: si sa che la coca viene coltivata in Colombia, Hollywood ci ha bombardato di film sull'argomento, ma ci si dimentica di dire che il paese a forte presenza italiana nell'area è il Venezuela (950.000 persone) e che la frontiera di questo paese con la Colombia è estremamente permeabile causa la decennale guerriglia. Logica vuole che la coca europea, gestita dalla 'ndrangheta, parta proprio dal Venezuela, per garantire una logistica appropriata a dei carichi tanto preziosi quanto consistenti, dato il volume d'affari. 

Cricca Codazzi: Minerva Valletta & Anna Grazia Greco

Questo spiegherebbe la necessità di un conto cifrato su una banca svizzera, la Credit Suisse, da parte dell'onorata associazione senza scopo di lucro "Agustin Codazzi", associazione il cui motto è Nulla dies sine linea (da buona tradizione massonica). Tanto per ricordare che le logge infami, come la P2, vanno per la maggiore qui da noi...
Gianluca Salvati

venerdì 12 novembre 2010

Massoneria, il caso Codazzi: associazione culturale senza fini di lucro | Piero Armenti & il signor Bagordo - Premio Italia (Caracas 2005)

Nel mese di giugno si inaugurò la mostra collettiva dei vincitori del "Premio Italia". Il premio era bandito dall'ambasciata italiana di Caracas con il nobile intento di divulgare l'ingegno italiano nel mondo, ecc. ecc...
Avevo inviato un lavoro per partecipare alle selezioni. La tela era Le Pharaon, autoritratto da moribondo. 
Oggi so che non potevo fare scelta migliore...

Storia di un quadro

Dopo il natale del 2004, causa un avvelenamento, stavo per tirare le cuoia proprio lì, a Caracas. Il quadro l'avevo dipinto qualche mese dopo, in piena convalescenza.

Le Pharaon, olio su tela 2005

Il mio lavoro era stato scartato e non sarebbe stato esposto alla collettiva. 
La decisione della giuria era insindacabile ed io avevo abbastanza esperienza per comprendere i significati occulti di un'iniziativa a nome di un Paese notoriamente anti-meritorio come l'Italia. 
Ma, anche se non c'erano motivi che mi portassero a credere a una prospettiva diversa lì a Caracas, mi recai all'inaugurazione sgomberando la mente da pregiudizi: magari mi apprestavo a scoprire dei veri talenti dell'arte...

Autorizzazione dell'Istituto Italiano di Cultura

All'evento c'era tutta la gente che contava, parlo dei connazionali, tutta un'Italia da esportazione. Anna Grazia Greco faceva gli onori di casa essendo la principale burattinaia di quel concorso... 
Non a caso, la selezione degli artisti del premio era piuttosto deprimente: una vomitevole pastetta. Quella esposizione diceva tanto sia sul livello culturale, sia sugli intrallazzi di chi selezionava. Eppure non mi sarei sognato di spendere una sola parola sul modo in cui certa gente sperpera il denaro pubblico: non sono affari miei. Ho una regola molto semplice, ma efficace: vivi e lascia vivere. Per questo stesso motivo divento intrattabile quando mi si pestano i piedi.



Storia di un quadro: autorizzazione

Il primo premio andò a un tipo che avrei definito un tappezziere pop. Costui si atteggiava a divo, pavoneggiandosi nel soprabito di pelle alla Matrix (lì, ai tropici...). 
I suoi lavori non erano dissimili da come egli stesso si presentava: una sorta di cuscini in similpelle con disegni manga. Cose trite e ritrite, ma il personaggio gongolava nel suo ruolo e si godeva i suoi 5 minuti di notorietà.
Allora non lo sapevo, ma nella smorfia della mia famiglia, il tappezziere ha un posto di rilievo. Richiama la vicenda del giornalista-tappezziere Eduardo Giacchetti finito in carcere per aver denunciato le malefatte di un noto politico-delinquente, l'onorevole Gennaro Aliberti.

Poco prima della presentazione dell'evento, il console e l'ambasciatore comunicavano fra loro piuttosto preoccupati, sembrava si stessero confessando... Non passò molto tempo che mi si oscurò la luce: un bestione di buttafuori locale mi si parò davanti. Mi parve un evento surreale...

Tempo addietro avevo criticato sia la delegazione ministeriale italiana giunta a Caracas, sia il console, nell'auditorium del Codazzi, la scuola dove insegnavo. In quell'occasione avevo mosso delle precise accuse e molta della rabbia mi derivava dall'accidente che mi stava stroncando pochi mesi prima. Non c'è dubbio che fu la voce della verità a parlare per me. Sono certo che allora nessuno di loro lo ignorasse. Intendo dire nessuno della maggioranza dei rappresentanti istituzionali. 
Quando ritornai a scuola nel gennaio 2005, ero bianco come un lenzuolo (parole di chi mi vide), avevo avuto la maggior parte dei valori ematici vicini allo zero. O giù di lì, comunque sfasati. La scuola era un autentico formicaio, con quattro ordini di studio, dalla materna alle superiori: centinaia di persone poterono constatare le mie condizioni di salute durante l'usuale alzabandiera del mattino. 
Eppure, quando mossi le mie critiche a quei signori, non tirai in ballo l'avvelenamento, pensando che fosse stato un incidente privato ed ignoto agli altri. Ma quel trattamento, tra l'insolente e lo strafottente, da parte della gente per cui lavoravo, non lo riuscivo a digerire in nessun modo. Mentre la commissione si compiaceva di compartire la stessa visione del mondo di quell'onorata associazione del Codazzi: quattro delinquenti patentati. Per questo motivo gli dissi un po' di cose. Senza trascendere, dato che sono un signore. 
Ad ogni modo, all'inaugurazione del premio Italia, quella questione era per me bella e chiusa da tempo.
Ero lì come semplice visitatore e la presenza intimidatoria di quel buttafuori era completamente fuori luogo... Di fatto qualcuno mi stava comunicando di avere la coda di paglia... 
Le soluzioni sbirresche sono spesso dei boomerang, specialmente quando sono così sproporzionate e sfacciatamente immotivate. Tante persone per bene stavano assistendo ad un pessimo spettacolo di abuso di potere, senza un casus che potesse giustificarlo. 
Anche la politica più bieca e infame deve fare i conti con questa realtà, specialmente quando cerca di darsi una patina di rispettabilità. Il bestione dovette ragionare in fretta e, dopo un rapido sguardo a me, si rivolse ad un barbone che si trovava in compagnia di una ragazza, poco distante da me, quasi alle mie spalle. 

Cosicché, tra tante barbe finte, ecco spuntare una barba vera. Una barba incolta memore di un certo tipo di intellettuale di sinistra degli anni '70. Ma il tipo, a parte la barba, aveva il resto del look assolutamente destrorso. Il bisonte gli ringhiò qualcosa e lui gli rispose con un ringhio simile. Non mi preoccupai di sapere cosa si stessero comunicando, in fin dei conti parlavano la stessa lingua. Dopo questo scambio, il bestione si andò a parcheggiare altrove e la serata continuò con lo stesso senso di inutilità con cui era cominciata, ma senza ulteriori intermezzi.
Prima di andar via incontrai il marito di Minerva Valletta, rappresentante di classe e madre di un mio alunno
Il signor Bagordo non era lì per caso: era l'autista dell'Ambasciata italiana di Caracas. 
Mi fermai a parlare un poco con lui, notando che i modi untuosi del signor Bagordo fosse più servili del solito...

La sera successiva una collega con cui avevamo appuntamento al Vic's di Plaza Altamira, si tirava dietro quel barbone e ce lo presentò. Costui era Piero Armenti, un aspirante giornalista che si trovava in Venezuela da circa un anno per fare pratica. La nostra collega, M., era venuta in Venezuela nel mese di febbraio del 2005, quando la dirigente, a metà anno scolastico, casualmente, si era resa conto che la scuola aveva bisogno di un'altra insegnante. Per pura coincidenza (aveva una possibilità su 3 milioni), M. si trovò ad abitare proprio vicino a questo giornalista. M. aveva avuto difficoltà a trovare casa: tutti i locatari da lei contattati, al momento di formalizzare i contratti, svanivano con delle scuse banali. Un bel mistero. 
A proposito del Vic's, dove ho avuto appuntamenti da diversi italiani del Codazzi, si trova appunto vicino a Plaza Altamira, dove ha abitato (o abita tuttora) il noto faccendiere Aldo Miccichè, ex-DC, referente della 'ndrangheta e di Marcello Dell'Utri. 

Piero Armenti, periodista

Piero Armenti aveva conosciuto un' amica italiana di M. che aveva lavorato tempo addietro per il consolato e poi era rientrata in Italia. Fu questa amica a spingere M. a fare domanda, tramite il consolato, alla scuola "Agustin Codazzi" di Caracas... Insomma, mi trovavo nel paese delle coincidenze misteriose: cominciavo a capire perché il realismo magico andasse per la maggiore in america latina.
Piero Armenti mi spiegò cos'era successo la sera prima col bestione. Mi disse che gli era stato mandato perché aveva criticato l'ambasciatore durante il discorso di presentazione del premio. Strano, non ricordavo di aver sentito qualcuno lamentarsi di qualcosa, né tanto meno lui. E poi, prima di parlare con lui, il bisonte si era fermato davanti a me. Ma, non avendo motivo per non credergli, accettai la sua versione dei fatti. 
Certo, se l'Armenti avesse avuto la decenza di aggiungere che era l'autore di quell'articolo, diciamo così, piuttosto adulatorio, nei confronti della commissione ministeriale, capitanata dal guitto di regime Paolo Scartozzoni, commissione che avevo contestato a marzo. Se avessi saputo che lui era l'autore di quell'articolo, credo che avrei valutato diversamente le sue affermazioni.


Nell'articolo in questione non si diceva che i professori provenienti dall'Italia erano senza contratto e che questa fu l'unica osservazione sensata fatta dalla platea alle fantasmagorie decantate dalla relatrice ministeriale: una cosa è la fantapolitica, altro sono i fatti. A volte le persone tendono a fare confusione tra le chiacchiere e i fatti, ovvero a prendere per vera non la realtà, bensì la sua rappresentazione. L'esempio classico è quello della televisione, dai tg alle telenovelas, di cui non si dirà mai a sufficienza che è meglio tenerla spenta.
Tornando al giovane giornalista, Piero Armenti, egli era liberissimo di scrivere e prendere le parti di chi voleva, ma nessuno lo autorizzava a spacciarsi per novello Che Guevara....
Gianluca Salvati




lunedì 3 maggio 2010

Max Mauro - Un pittore napoletano a Caracas - La Voce d'Italia

CARACAS– Che ci fa un pittore napoletano a Caracas? E’ la prima domanda che il cronista si pone incontrando Gianluca Salvati, artista figurativo con alle spalle diverse mostre collettive e una personale nella città di origine, che da due anni risiede nella capitale venezolana.
Sono arrivato come insegnante della scuola italiana Codazzi”, risponde con un sorriso aperto e il tipico accento della sua terra di origine questo giovane che non dimostra i suoi 38 anni. “A un certo punto della mia vita mi sono trovato di fronte a una scelta: vivere di pittura facendo delle opere commerciali oppure trovarmi un lavoro che mi consentisse di continuare a dipingere ciò che più mi piace, senza badare al mercato. Così ho rispolverato il diploma magistrale che ho conseguito prima di compiere gli studi all’accademia dell’arte di Napoli e mi sono immerso nell’insegnamento”. Prima di arrivare in Venezuela, Gianluca ha vissuto per un anno a Casablanca, in Marocco, lavorando sempre come insegnante di italiano. Sembra che la sua vita sia legata all’incontro con altre culture, allo spaesamento di chi decide di vivere lontano da casa. Un emigrante moderno o un artista alla ricerca di stimoli?
Mi piace entrare in contatto con altre culture, ma non è stata una decisione programmata quella di venire in Venezuela o andare in Marocco. Si è presentata l’occasione e l’ho colta, tutto qua. E’ chiaro che tutto quello che vedo e assorbo nei luoghi i cui vado mi trasmette qualcosa che in un modo o nell’altro poi traspongo nei quadri”. Nel suo periodo venezolano ha creato sette opere, sette quadri di forte impatto emotivo, perché tutti hanno per protagonisti figure umane, ritratte in posizione distesa, viste di fronte. “Una delle prime cose che mi hanno colpito a Caracas erano le persone distese in strada, mendicanti e barboni. Vedevo qui corpi e mi veniva istintivo di raccogliere degli schizzi o di fotografarli. Non l’ho fatto, per pudore o rispetto, ma poi, quando ho sentito il bisogno di dipingere, ho affittato uno studio e il risultato del mio lavoro sono questi quadri”.
Il rapporto di Gianluca con la pittura è molto intenso, ammette che è la cosa che gli piace più fare nella vita, ma trascorre lungo periodi senza dipingere. “Fin da piccolo ho avuto la passione per i colori e il disegno. La mia è una famiglia di musicisti: la nonna, il babbo, i miei due fratelli, tutti musicisti. Io sono l’unico che si dedica alla pittura, però passo dei lunghi periodi in cui non mi avvicino alla tela. Per dipingere serve tranquillità e in certi momenti devi lasciare maturare le sensazioni che vuoi trasmettere dipingendo, devi studiare, ricercare”.
Nei primi tempi non riusciva ad abituarsi al clima dei Caraibi e soprattutto all’assenza delle stagioni come si vivono in Italia, ma ora si è affezionato al paese. “Ci sono dei paesaggi spettacolari e il ritmo della vita è più rilassato, meno stressante. E poi stando in America Latina ho avuto modo di conoscere le opere di grandi artisti come il venezolano Jesus Soto o il messicano Rufino Tamayo. Mi piace molto anche l’artigianato indigeno, i lavori fatti a mano”, dice.
Chiusa l’esperienza alla scuola italiana, Gianluca sta ora seguendo un corso di grafica, altra sua passione, e programma il rientro in Europa. Prima di partire deve tuttavia prendere una decisione: che fare dei quadri realizzati in Venezuela? “Al principio non mi piacevano, poi ho cambiato idea e forse alcuni li porterò con me, anche se non è facile svolgere la tela, rischi di rovinarli. Insomma, non ho ancora ben chiaro che farne, forse li regalerò. Venderli? Non li ho pensati per questo”.
Pubblicato il 08 maggio 2006 da Max Mauro-9/5/06

mercoledì 28 aprile 2010

Le vie dell'arte: pittura e massoneria | Il San Giovanni Battista di Leonardo da Vinci

Alcuni mesi fa ho avuto il piacere di ammirare, per la prima volta, il San Giovanni battista di Leonardo da Vinci. Il quadro era esposto a Milano ed era visibile gratuitamente grazie allo sponsor dell'iniziativa, la multinazionale Eni
Al termine della visita ho posto qualche domanda a una delle guide. Volevo sapere se quel dipinto avesse un particolare significato per i massoni. L'addetta non ha saputo rispondermi, ma si è prontamente inserito un suo collega per contraddirmi, come se la mia curiosità fosse un pretesto per creare fastidi. La mia domanda non era gratuita: la fondazione della massoneria risale al giorno di San Giovanni battista, per questo, sul momento, ho trovato delle attinenze con il quadro di Leonardo da Vinci. Di fatto, sia le guide che alcuni visitatori si sono premurati di affermare che quel quadro di Leonardo è un quadro religioso: “c'è anche la croce...”, ha aggiunto una signora.
Evidentemente devo avere la testa dura, perché non mi tornavano i conti. Ma la versione bigotta di Leonardo, malgrado il parere di preti e politici, mi sembrava una vera e propria minchiata. Un artista del suo calibro, genio universale, non poteva essere così naif da credere a tali favolette. Uno che ha sperimentato in prima persona l'ambiente insidioso della corte papale, dove lo si accusava di stregoneria, doveva aver ben chiara la differenza che c'è tra il fare e il predicare. A Roma, Leonardo non solo non ha avuto la possibilità di lavorare, ma poco ci mancava che lo nominassero buffone di corte. Per questo motivo, accettò l'invito del re di Francia a lavorare presso di lui. La fuga di cervelli dall'Italia è cominciata proprio con Leonardo da Vinci. Un genio che il mondo intero ci invidia, in fuga da un potere retrogrado e bigotto.


San Giovanni Battista, part. olio su tela - Leonardo da Vinci

Pochi giorni dopo, il dubbio mi si è risolto, complice un fascicolo allegato alla rivista Art e dossier sul disegno di Leonardo (autore Carlo Pedretti), al cui interno c'è un disegno molto eloquente, poco dissimile dal San Giovanni battista visto a Milano. La differenza consiste nella simbologia: anziché la croce e i simboli dell'eremita, il protagonista, nudo, mostra un'erezione. Dunque: Leonardo da Vinci ha tenuto con sé per tutta la vita il quadro di un suo amante. Un'immagine paganeggiante, benché travestita di simboli cristiani.

A quel punto i conti mi sono ritornati. Ho capito che certa gente non perderà mai il vizio di mistificare la realtà e manipolare le masse: sarà per questo che sono molto orgoglioso del mio relativismo.
Gianluca Salvati

Non credo in niente, non ho paura di niente: sono libero.
Nikos Katantzakis


San Giovanni Battista è stato utilizzato entro una certa linea d'interpretazione della storia della Massoneria come una prova della sua stretta affinità con società esoteriche attive molto prima del 1700 e del suo accesso ai relativi segreti. Il Santo infatti godeva di particolare venerazione da parte dei Templari (in questa linea interpretativa sopravvissuti alla loro soppressione ufficiale) e dei Rosa-Croce.

La Massoneria – Il vincolo fraterno che gioca con la storia. Edizioni Giunti
 

 

gianluca salvati

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Gianluca Salvati - Lotta di cani

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