Uomo che saluta - olio su tela 1996

Uomo che saluta - olio su tela 1996
Esposto nel 1997 (c'era quel coniglio di Piero Golia) - coll. Franco Chirico

Saul Bellow 1997: funzione dell'arte

Io non propongo assolutamente niente. Il mio unico compito è descrivere. I problemi sollevati sono di ordine psicologico, religioso e - pesantemente - politico. Se noi non fossimo un pubblico mediatico governato da politici mediatici, il volume della distrazione forse potrebbe in qualche modo diminuire. Non spetta a scrittori o pittori salvare la civiltà, ed è uno sciocco errore il supporre che essi possano o debbano fare alcunché di diverso da ciò che riesce loro meglio di ogni altra cosa. […] Lo scrittore non può fermare nel cielo il sole della distrazione, né dividere i suoi mari, né colpire la roccia finché ne zampilli acqua. Può però, in determinati casi, interporsi tra i folli distratti e le loro distrazioni, e può farlo spalancando un altro mondo davanti ai loro occhi; perché compito dell’arte è la creazione di un nuovo mondo.

giovedì 21 febbraio 2013

Macchiaioli, Giovanni Fattori | “Gli uomini che fecero l'Italia” di Giovanni Spadolini | Libecciata, olio su tela

“Macchiaioli”. È una parola che i francesi non riescono né a tradurre né a pronunciare. Tachistes (in francese macchia si traduce in tache) indica una scuola artistica radicalmente diversa. Impronunciabile il nome, per un secolo e più la critica francese ha ignorato la scuola livornese-fiorentina che si chiamò tale, alle origini dello Stato unitario, nel 1862, per reazione polemica al giudizio derisorio e ironico di un quotidiano torinese. E prima che Torino perdesse, a vantaggio di Firenze, il ruolo di capitale.
È stato un contenzioso di silenzi o di equivoci, che si è chiuso solo, nell'autunno del 1978, con la mostra al “Gran Palais” dedicata a “I macchiaioli peintres en Toscane aprés 1850”, con quel titolo semplice e scabro.
[…] Solo Giovanni Fattori aveva squarciato, in qualche momento, la nebbia dell'indifferenza generale o della sufficienza e alterigia burocratica.
[…] Essenziale, nella sua storia personale ed artistica, l'origine livornese. Livorno: la città più libera della Toscana ottocentesca. La città che per prima aveva tradotto l'Encyclopédie e introdotto gli illuministi nella penisola. La città dell'Indicatore livornese, sacra alle prime esperienze di Mazzini. La città delle passioni repubblicane represse e del tempestoso magistero guerrazziano. La città dove il Quarantotto significò qualcosa, turbamento, lacerazione di vecchi schemi, quasi insurrezione popolare e non fu soltanto aggiustamento o evocazione di antichi miti nazionali, di remote illusioni archeologiche.
[…] Come livornese, come guerrazziano, Giovanni Fattori partiva da una posizione democratica, popolaresca e, almeno agli inizi, repubblicaneggiante. Non era e non sarà mai uomo della consorteria.
[…] Nel complesso, al di là di ogni giudizio e di ogni annotazione estetica, quell'opera pittorica, quella specie di Risorgimento illustrato, assolverà una funzione precisa di apostolato e di pedagogia nazionali, paragonabile a De Amicis col suo Cuore.
Dal punto di vista artistico, il “monumentale” Assalto alla Madonna della Scoperta non riesce ad allontanare lo sguardo dalle piccole e incantate marine di Castiglioncello, dagli abbozzi di vita campestre, in cui il brivido della pittura macchiaiola si avverte con un ritmo tanto più intenso e sofferto. 
Il suo mondo ideale è delimitato dalle pianure solitarie della Maremma, e le macchie dei boschi si identificano con gli artifici pittorici, e gli alberi taciturni e potenti diventano veicoli di un paesaggio che non è mai retorico, che è teso esclusivamente alla scoperta della natura (non a caso i cavalli dominano le opere di un tipo e dell'altro).
Si è parlato di Corot per Fattori, e non esistono dubbi sulla profonda ammirazione del pittore italiano (che conosceva Parigi, che non era affatto un “sempliciotto”, come fu descritto) per il grande artista d'oltralpe, da lui rivisitato con devota attenzione nel 1875. E in Giovanni Fattori c'è, come in Corot, l'ambiguità fra l'arte tradizionale che si consuma e l'arte nuova che è anticipata, intuita, scoperta.
Grande pittore, Fattori fu grandissimo come incisore e acquafortista. Con metodo personalissimo e con una fedeltà meticolosa, puntigliosa da artigiano, ebbe la capacità di elaborare un corpus di oltre centosessanta lastre, che costituiscono un record nell'arte italiana: tutte omogenee, respiranti in uno stesso clima. Il frutto di una tecnica mirabile che si inserisce, con una vena inconfondibile, nel clima di naturalismo e di verismo sociale che negli stessi anni, in opposizione all'impressionismo, impronterà di sé tanta parte della produzione artistica e letteraria d'Europa.
Gli uomini che fecero l'Italia, Giovanni Spadolini

Libecciata, olio su tela Giovanni Fattori

venerdì 15 febbraio 2013

"Ciclista" in bianco e nero. The biker man stronger | Piero Golia non c'era

Ho sempre amato la pittura densa e materica, e, da quando ho iniziato a imbrattare tele, ho prediletto le tempere agli acquarelli, la penna alla matita, e l'olio all'acrilico...
Avevo una certa curiosità di usare gli smalti, quelli industriali, così nel 1994, li sperimentai usando della pittura avanzata da lavori di tinteggiatura in casa.
Disegnavo costantemente da almeno 3 anni e avevo da poco cominciato ad abbozzare direttamente senza alcun disegno preliminare. Allo stesso modo in quel periodo cominciavo a costruire le figure senza riferimento iconografico: andavo a memoria.
Il Ciclista venne fuori così, smalti su cartone. 

Ciclista, smalti su cartone 1994 - Gianluca Salvati

Quando portai il quadretto in accademia ebbe un discreto riscontro. In seguito il prof mi disse di farlo incorniciare per esporlo alla mostra di fine corso. Nel 1994 ne tenemmo due, la prima fu allestita in una sede dell'università di medicina. In quella prima esposizione presentai un altro quadro. Dopodiché partii per Lugano: erano gli ultimi giorni della mostra di Emil Nolde, un pittore che adoravo e non volevo assolutamente perdermi. I miei compagni si preoccuparono di allestire i miei lavori alla seconda mostra al bar dell'Epoca in via Costantinopoli. 
Piero Golia non c'era, non ancora.

La mostra di Emil Nolde a Lugano faceva, a dir poco, pena, non perché avessi cambiato idea su quell'artista, ma perché la qualità dei lavori era estremamente bassa e commerciale. Capita, purtroppo che si adoperi un nome di richiamo lavorando sul battage pubblicitario da un lato, per poi presentare gli scarti di produzione di un autore. 
Per fortuna in quel periodo c'era la mostra di un altro pittore che ammiravo, Nicolas de Staël . La prospettiva di Nicolas de Staël si teneva nei pressi di Parma, ed era curata non bene, ma benissimo. La qualità dei lavori era molto alta. Cosicché fu un piacere acquistare il catalogo di quel pittore  così interessante e così attuale. 
In quegli stessi giorni avevo saputo da mio fratello che “...c'era una sorpresa...”. Cos'era successo? 
Un professore del conservatorio aveva visitato la nostra esposizione collettiva a Napoli ed era rimasto positivamente impressionato dal quadro Ciclista. Quel signore si era presentato diverse volte al bar chiedendo informazioni sul quadretto: dire che fosse molto motivato all'acquisto era un eufemismo. Il prof a un certo punto si era fatto scrupolo di far chiamare a casa per avvisare; la cosa era stata presa con nonchalance dai miei e il quadro restò invenduto. Nondimeno fu un bel riscontro per la mia prima uscita, in fin dei conti dipingevo seriamente da appena 2 anni.

lunedì 11 febbraio 2013

"La caduta", olio su tela di Gianluca Salvati | Franco Chirico & Kiko Arguello - Piero Golia

Nel dicembre del 1995 ero convalescente da un intervento chirurgico dovuto a peritonite e avevo ricominciato a dipingere. Il primo quadro cui misi mano fu un lavoro nuovo, la cui novità consisteva nell'utilizzare tre tele di diverso formato dislocate a distanze tali da comprendere l'immagine dinamica a cui facevo riferimento. L'immagine era la solita foto di calciatori presa dal giornale del lunedì, ma quella foto aveva un suo epos... 
Il quadro iniziato in quel dicembre del 1995, dopo l'intervento di peritonite, era La caduta.
Dopo un paio di mesi il quadro era bell'e terminato. Lo portai giù e lo attaccai alla parete dell'ingresso. Mi pareva che funzionasse, aveva un nonsoché...


In quel periodo, i miei genitori tennero un incontro con alcuni fratelli della comunità di neocatecumeni. Franco Chirico era il responsabile di quella comunità di cammino neocatecumenale, ma lì, quella sera, non c'era. In tutto c'erano sei o sette persone, compresi i miei genitori. Quando tornai da fuori incassai i complimenti entusiasti di un loro fratello di comunità. Quel signore si era talmente incantato davanti al quadro La caduta che, stando al racconto dei miei genitori, aveva seguito le letture distrattamente. Dissi a quel signore che, qualora avessi partecipato ad una mostra, gli avrei fatto pervenire l'invito.
Franco Chirico, oltre ad essere il responsabile di quella comunità neocatecumentale è anche il principale editore di quel movimento fondato da Kiko Arguello. Per intenderci, Franco Chirico conosce Kiko Arguello personalmente.

Quando ebbi pronti un po' di lavori, nella primavera del 1996, li fotografai e li portai a vedere in accademia. Era il primo anno che Piero Golia frequentava il corso del Libero Nudo, dunque il lavoro lo mostrai anche a lui e non solo ai colleghi "storici" dell'accedemia. Nel complesso quel quadro La caduta riscontrava un certo favore, in particolare tra le persone del cui giudizio mi fidavo. Eppure, quando si trattò di propormi per una personale, nel giugno 1996, il prof dell'accademia scartò a priori quel quadro dall'esposizione. Senza dare spiegazioni, cosicché non mi capacitai del perché di quella scelta.
Il critico Arcangelo Izzo, quel gran testone, aveva addirittura messo in dubbio l'artisticità di quel mio lavoro: “Che significa?”, mi aveva chiesto. Ma era altrettanto vero che tutte le previsioni del suddetto capoccione si erano dimostrate meno consistenti di una bolla di sapone in una assolata giornata estiva: il riscontro della mia personale del 1996 non lasciava dubbi. Ciononostante il quadro La caduta è l'opera che non ho mai esposto.



sabato 9 febbraio 2013

"Ciclista", di Enrico Cajati | Un testo di Salvatore Vitagliano

[...] Nel ’67 la grande svolta. Enrico Cajati giunse alla determinazione di “mettere tutto sullo stesso piano”; appiattendo quindi quella superficie materica che aveva elaborato con tanti anni di sperimentazione e che lo aveva portato alla Biennale di Venezia (a 28 anni) e tornò a quella fonte originaria dove non più il caso ma la costruzione, la costanza, la tecnica, l’osservanza delle regole saranno principi  a cui cercherà di obbedire per tutto il resto della propria vita.
Ho detto “cercherà” perché un uomo del suo istinto e della sua immediatezza gestuale, musicale, dovette castigarsi notevolmente per raggiungere degli apprezzabili risultati, ma in questo castigo di uomo proiettato nel futuro che voleva raggiungere il passato, sta forse la chiave di tutta la sua grandezza. I suoi piccoli quadri informali divennero bozzetti di un lavoro futuro che ha del pazzesco; egli li cominciò a disegnare su fogli lucidi, poi procedeva allo spolvero e una volta riportato il disegno su tela, iniziava il lavoro di campitura, di chiaroscuro, di velature, e quando il risultato finale non lo soddisfaceva, ecco una tinta nuova ricoprire tutto e di nuovo un nuovo inizio e alla fine un nuovo daccapo, e ancora a ricominciare: un buon dipinto va fatto e rifatto sei volte, diceva, e come il Dio creatore egli lavorava sei volte e non meno di sei giorni all’Opera che era tutto il suo mondo. Ma il suo non era un cancellare, bensì un ricoprir di veli, e solo occhi attenti alla pur minima vibrazione di colore potevano catturarne le infinite sequenze di quelle luci nelle tenebre. 

Ciclista, olio su tela di Enrico Cajati
E in verità non furono molti, benché in tanti ne fossero incuriositi, i veri intenditori furono pochissimi ma tutti di gran qualità. Cajati godeva della fiducia incondizionata di Perez (Augusto, scultore), di Luca (Luigi Castellani, pittore), e di illuminati collezionisti come R. Marrama, R. Criespo, Cafarelli.
Salvatore Vitagliano

mercoledì 30 gennaio 2013

Fascismi vecchi e nuovi | Il Codazzi e il conto cifrato su banca svizzera: Credit Suisse, filiale di Lugano | Mirko Tremaglia, Paolo Scartozzoni & Guido Brigli: due degni compari - Colegio Agustin Codazzi Caracas

Nella lettera spedita al ministro Mirko Tremaglia (omissis, 07/2004), dopo una breve campagna mediatica allarmistica al limite dell'isteria, Guido Brigli auspica una maggiore attenzione (bussando a denari) all'allora ministro responsabile degli Italiani all'estero Mirko Tremaglia.

Immagino che per diventare ministri sia richiesta una buona dose di marpionaggine, sia congenita che acquisita, qualità che non credo mancasse all'onorevole Mirko Tremaglia dato il suo corposo curriculum, eppure, non so perché, ma paragonato all'ex figlio di papà Guido Brigli,  Mirko Tremaglia sembra uno sprovveduto. Poco più che un ingenuo.

Guido Brigli e Paolo Scartozzoni da piccoli
Di fatto, è più facile diffidare di qualcuno con un passato discutibile, che non di un figlio di papà di mezza età come Guido Brigli. 
Lungi da me voler sdoganare l'ultimo fascismo del ventennio, ma ho il sentore che ci sia un fascismo ben più subdolo da cui guardarsi, oltre a quello folkloristico che ben conosciamo.

Cricca Codazzi: Paolo Scartozzoni, Guido Brigli e Anna Grazia Greco

venerdì 25 gennaio 2013

Piero Golia, opera prima - Accademia di Belle Arti di Napoli, "Corso del Libero Nudo"

Alla prima collettiva di rilievo, all'Accademia di Belle Arti di Napoli, Piero Golia espose un coniglio (giugno 1997). Per dare un tocco di innovazione tecnologica alla sua trovata artistica, quel Peter Pan dell'arte contemporanea sistemò due piccoli altoparlanti vicino al contenitore del coniglio. Le casse riproducevano una registrazione: Piero Golia chiedeva disperatamente di uscire da lì, parlando al posto del coniglio. Aveva registrato la propria voce per fare le veci del coniglio, come si dice in gergo burocratico. L'artista si identificava nel coniglio, era lui che si agitava dal contenitore plastico chiedendo di uscire. 
E l'artista, a sua volta chi era? Il coniglio?!? 
L'opera di Piero Golia si apriva ad un caleidoscopio di interpretazioni...
Quello sì che si poteva definire vero coraggio controrivoluzionario...

Piero Golia, coraggiosa opera prima, 1997- Accademia di Belle Arti di Napoli

Francamente quella creazione era di una banalità sconcertante. In particolare, la registrazione dispensava una noia inossidabile: dopo due ore che andava avanti, gli fu chiesto di spegnerla perché era troppo fastidiosa. 

Il quadro esposto con quel coniglio di Piero Golia

Quando venne il direttore dell'Accademia, Gianni Pisani, dopo aver pontificato: “...abbiamo anche un Bacon napoletano...” riferendosi al mio quadro Max Mauro da vecchio... (Bacon, a me?!?), si complimentò con Piero Golia per tutto l'ambaradan della sua opera, “coniglio + altoparlanti” = NOIA, aggiungendo, però, che gli animali non potevano essere esposti. Non lì. Quest'ultima osservazione fu la cosa più sensata che avessi ascoltato quel giorno.

martedì 22 gennaio 2013

"Franco Chirico, ritratto a la Jacques Chirac"

Alla mia personale del 1999 portai un quadro su Jacques Chirac. Il lavoro era tratto da una foto del presidente francese presa per strada. Lo scatto era piuttosto insolito, il soggetto era in cammino e procedeva trascinando un braccio, quello sinistro, come per inerzia, mentre il torso era proiettato in avanti. La posa suggeriva che il presidente andava di fretta ma non voleva scontentare il fotografo, o piuttosto, non voleva perdere l'occasione di dispensare una buona immagine di sé. Il gesto del braccio trascinato, a mezz'aria, lo riprendevo in un altro quadro della stessa esposizione, il discobolo. Ma, a parte questo particolare, i due soggetti erano costruiti in maniera completamente diversa. Per il Franco Chirico a la Jacques Chirac, mi ero attenuto alle indicazioni della foto senza troppe novità, con qualche libertà nel trattare la testa. Il discobolo, invece, era inventato fin dal disegno. 



Franco Chirico, ritratto a la Jacques Chirac - 1999


Alla mostra personale avevo invitato l'editore Franco Chirico, responsabile della comunità neocatecumenale presso la parrocchia del quartiere, ma Franco Chirico all'inaugurazione non si era visto. Quando mia madre gli aveva commentato l'esposizione, aveva aggiunto che "c'era anche il suo ritratto...", riferendosi al quadro Franco Chirico ritratto a la Jacques Chirac. L'affermazione non era esatta, ma dovetti ammettere che c'era un fondo di verità: volto e capelli arruffati erano più del Chirico che dello Chirac... Dopo essermi attenuto fedelmente alle informazioni della foto, infatti, avevo perso la pazienza e mi ero dato alla libera interpretazione del volto. A quadro terminato ne risultava il Chirico sul fisico dinoccolato dello Chirac.
Che connessioni c'erano tra il presidente francese (di destra) e il responsabile della comunità dei neo-catecumeni dei miei genitori, Franco Chirico? 
Boh? La questione non mi riguardava più di tanto... A quei tempi non mi ponevo troppe domande, limitandomi a scandagliare gli imperscrutabili disegni della realtà con gli affilati strumenti dell'arte. 
Franco Chirico è anche il principale editore del movimento neocatecumenale. Franco Chirico conosce personalmente Kiko Arguello, leader e santino ante litteram di quella setta cattolica.
Comunque, nonostante il quasi-ritratto a la Chirac, Franco Chirico non si fece vivo, in compenso, vennero a vedere l'esposizione alcuni amici di suo figlio, Fernando Maria Chirico.


"La pittura è soltanto un mezzo che mi permette di portare alla luce un pensiero grazie all'utilizzo di elementi presi al mondo visibile"
René Magritte

venerdì 18 gennaio 2013

Il viaggio a New York di Piero Golia: corso accellerato di aggiornamento sull'arte yankee a stelle e strisce

Nei primi mesi del 1997, Piero Golia si recò a New York per un viaggio di acculturazione sull'arte a stelle e strisce. Quando ritornò in Accademia, disse che aveva visto un quadro simile al mio Sassofonista in una galleria di New York. Mosso da curiosità per la coincidenza, Piero Golia aveva chiesto il prezzo del quadro, perché, aggiunse, "in America anche chi veste come uno straccione, può essere un ricco in incognito..."

Ebbene, Piero Golia disse che quel quadro così simile al mio Sassofonista costava $10.000. Diecimila dollari! Però... 

Sassofonista, quadro simile a quello visto da Piero Golia


domenica 6 gennaio 2013

Storia di un quadro | Piero Golia, artista concettuale - "Nulla dies sine linea". Nudo giallo

Piero Golia ha frequentato il Corso Libero del Nudo all'Accademia di Belle Arti di Napoli. Alunno poco dotato, benché testardo, Piero Golia non ha mai imparato a disegnare, per non parlare della pittura: non è arte sua... Eppure, questo non gli ha impedito di diventare un artista concettuale ed esporre in luoghi di un certo rilievo.


Evidentemente Piero Golia ha delle doti nascoste...
Nel 1996, gli chiesi un suo disegno: un classico nudo disteso disegnato a matita che pareva fatto col fil di ferro. Era un disegno stranamente comico, Piero Golia fu così gentile da donarmelo.  Tempo dopo gli portai la foto del quadro che avevo realizzato da quel disegno.

" Nudo giallo" da un disegno di Piero Golia, 1996

Avevo lavorato a quel quadro cercando di adattarmi al suo stile, ovvero interpretando in pittura quei primitivi segni a matita. Allo stesso modo, cercai un colore impattante e non elaborato. Quando lo vide, Piero Golia commentò con un laconico: “O' cessss...”, dimostrandosi conscio dei propri limiti e forse credendo che mi stessi prendendo gioco di lui. 
In realtà trovai quell'operazione estremamente divertente.

lunedì 17 dicembre 2012

Fascismi vecchi e nuovi: Mirko Tremaglia, Guido Brigli & Paolo Scartozzoni - omissis | Anna Grazia Greco - Piero Armenti | Franco Chirico & Kiko Arguello

Nei primi mesi del 2004, è partita una campagna allarmistica sullo stato della democrazia in Venezuela. Gli articoli in questione hanno avuto un picco tra maggio e giugno del 2004, quando dalla stessa testata si domandava a gran voce cosa accadesse in Venezuela.


La campagna è culminata con una lettera di Guido Brigli, tramite Daniele Marconcini, al ministro (per gli italiani all'estero) Mirko Tremaglia.
La lettera comincia con un italianissimo omissis, che è tutto un programma di opacità e mala fede.

Non entro nel vivo delle questioni sollevate, perché conoscendo il personaggio (Guido Brigli)  e chi rappresenta (l'associazione “Agustin Codazzi”), direi che il 98% dei contenuti della lettera sono fumo, il resto è cenere. Ma vorrei fare un paio di considerazioni sul contesto e su alcuni attori di questa farsa.

Caracas, maggio 2004
  •  Anna Grazia Greco è dirigente della scuola “Agustin Codazzi”, essendo venuto a mancare, nello stesso anno, il dirigente incaricato dal Mae, il professor Bruno Teodori. Da tempo Anna Grazia Greco volteggiava su Caracas come un samuro (avvoltoio locale ndr.) per tenervi non meglio precisate "conferenze"
  • Piero Armenti è appena giunto a Caracas a fare pratica di giornalismo. Vive da sua zia, poco lontano dall'appartamento che affaccia su Sabana Grande, dove avrà per vicina, molto casualmente ma molto opportunamente, M.
  • Io insegno in Marocco, dove ho già detto che non sarei ritornato a lavorare per il successivo anno scolastico; inoltre, nel dicembre del 2003 è giunta una telefonata a casa mia a Napoli, da parte di una scuola argentina: c'è un posto di insegnante per me. Dunque metto in conto, avendone l'opportunità, di andare a lavorare in America latina
  • Franco Chirico, responsabile della comunità di catecumeni frequentata dei miei genitori da più di 20 anni, ha la famiglia a Caracas, curiosamente a poche centinaia di metri dove troverò casa. I nipoti di Franco Chirico hanno frequentato la scuola Agustin Codazzi, ovvero dove sono stato chiamato ad insegnare. Ciò significa che hanno frequentato quegli ambienti, almeno per 15 anni: la scuola "Agustin Codazzi" di Caracas, infatti, ha classi dalla materna alle superiori. Ma, molto casualmente, il sant'uomo non ne ha mai fatto cenno.
Nulla dies sine linea: Guido Brigli e Paolo Scartozzoni

mercoledì 12 dicembre 2012

Storia di un quadro: "Lotta di cani" | Antonio Nazzaro, Andrea Dorato, Kyong Mazzaro

Nell'agosto del 2008 ritornai in Venezuela per riscuotere il meritato assegno estorto a quei papponi escualidos dell'associazione delinquenziale “Agustin Codazzi”. In quel periodo c'erano a Caracas diversi conoscenti, Piero Armenti, per esempio, che non mi è capitato di rivedere, neanche per sbaglio... In compenso ho potuto rivedere e riabbracciare la sua ex ragazza. Piero Armenti le stava facendo credere che voleva stabilirsi in Venezuela, mentre, proprio in quei giorni avevo avuto conferma del fatto che, di lì a poco, sarebbe andato via dal Venezuela. Definitivamente. 
Delle persone conosciute negli anni 2004-2006 a Caracas, ho incontrato Antonio Nazzaro, ex impiegato al Centro Italiano di Cultura, che in quel momento si barcamenava in alcuni non meglio precisati progetti pseudoculturali. Non sono riuscito a capire di cosa si occupasse Antonio Nazzaro né, principalmente, come. Ma, guardando le sue produzioni video, direi che lo scopo delle sue creazioni non fosse chiaro neanche a lui stesso. 
In compagnia di Nazzaro, c'erano alcune persone brillanti come Andrea Dorato e Kyong Mazzaro.


Andrea Dorato era l'“animatore culturale” dell'esclusivo club per aspiranti artisti “Antonio Nazzaro & company”. Un giorno ho visto Andrea Dorato scansionare alcune pagine da un libro per poi caricarle su un blog, pubblicandole seduta stante. Al momento non ho capito il senso di quell'operazione. Aveva scelto una pagina e via: scansione e pubblicazione. Senza alcun lavoro di rifinitura o di adeguamento ad immagini presenti o ad altri testi. Un'altra volta, in un momento di finto cameratismo, Andrea Dorato mi confessò di essere stato un ex squatter, ovvero quel tipo di giovani, per lo più di sinistra che occupano locali e case sfitte. L'affermazione mi lasciò perplesso: apparteneva a quel genere di confidenze non richieste che stonavano, e non poco, col marchio di fabbrica di chi le pronunciava... Si, perché il colore di Andrea Dorato virava decisamente al nero seppia (quel fascistello).

Lotta di cani (Kyong Mazzaro), olio su tela 1999 - Gianluca Salvati 

La giovane e brillante Kyong Mazzaro, mezza coreana e mezza italiana, restava la più enigmatica, forse per l'aspetto esotico, o più semplicemente, per l'estrazione familiare, ovvero quella sorta di imprinting dovuto all'ambiente di provenienza: costei si muoveva con la fissità e la calma vigile di un rettile. Al momento la Kyong Mazzaro si dava ai blog, almeno questa era la spiegazione che dava alla sua presenza. In realtà di lì a poco si è data alla carriera universitaria, dalla Sapienza di Roma alla Columbia University negli States.

Grazie a Kyong Mazzaro ho capito perché certe categorie di persone godono di privilegi sproporzionati alle loro mansioni, si pensi, ad esempio,  alle baronie accademiche in Italia.
Lì in mezzo, tra quella gente brillante non c'era neanche un microgrammo d'arte. Neanche per sbaglio. 
Era tutto una totale fiction. Tutto un fottuto bluff. Uno specchietto per allodole. Io ero un tordo capitato lì per caso, ma poi neanche tanto per caso: non era un caso che fossi finito lì a Caracas nel 2004, anzi... Col senno di poi, direi che la cosa fosse stata preparata con largo anticipo...

lunedì 26 novembre 2012

Piero Armenti & Antonio Nazzaro: storie di ordinaria disinformazione


In un' intervista ad Antonio Nazzaro, ex impiegato dell'Istituto Italiano di Cultura di Caracas, Piero Armenti offre l'ennesimo saggio di ordinaria disinformazione:


In particolare quando chiede al Nazzaro che elementi ha per la sua “autodenuncia” e questi gli risponde che alla Bolivar y Garibaldi, accettano di tutto, compreso (lui) professori non abilitati e senza titoli. Mentre al Codazzi, sotto la mala gestione di Anna Grazia Greco, continua il Nazzaro, prendono solo professori abilitati... 
Piero Armenti resta in silenzio per qualche infinito secondo a questa patetica affermazione. Piero Armenti sa bene, a meno che non abbia seri problemi di amnesia (in tal caso sarebbe bene che cambiasse lavoro) che al Codazzi c'era una percentuale risibile di insegnanti abilitati. In particolare, nell'anno scolastico 2004/2005, su un totale di 6 insegnanti provenienti dall'Italia, c'ero solo io con l'abilitazione. 
L'anno successivo eravamo in 2.
M, la collega che viveva affianco alla casa di Piero Armenti, per esempio, lei non era abilitata. Immagino che in due anni di quasi convivenza questa informazione gli sarà arrivata. Inoltre, è altrettanto curioso che Piero Armenti ignorasse le denunce piovute sul Codazzi da parte di quel gruppo di insegnanti, M. compresa.
Sarebbe interessante sapere per quale motivo a Piero Armenti stanno tanto a cuore quel branco di escualidos idioti dell' “Agustin Codazzi”.


l'intervista ad Antonio Nazzaro è di Piero Armenti, l'apprendista


sabato 24 novembre 2012

Minerva Valletta e la señora Baffone: "Il problema" - Escuela Agustin Codazzi Caracas

Quando Lucia Veronesi ci fece ritirare i volantini in cui, almeno, si spiegavano le ragioni di  proteste e probabili scioperi da parte di noi insegnanti, mi salì un'incazzatura unica. Non mi andava di fargliela passare liscia a quei lestofanti della Giunta Direttiva. Cosicché, su due piedi, inventai una contromossa. Feci scrivere un problema per casa in cui si descrivevano, per sommi capi, i motivi di conflitto con quei delinquenti in doppiopetto. In sintesi, dei professori erano stati chiamati da alcuni imbroglioni in Venezuela. E dopo, gli imbroglioni, per non smentirsi, non volevano pagare i professori...
Era appena una piccola parte della verità, neanche la cima dell'iceberg, ma era l'inizio di qualcosa.
Da quel momento in poi, tra me e loro ci sarebbe stata la guerra: da allora, quegli infami un problema ce l'avevano per davvero... il problema ero io.


Das Problem, Selbstporträt
 
Quella sera ci fu l'ennesima riunione perditempo con quei mangia pane a tradimento, dell'associazione delinquenziale senza scopo di lucro “Agustin Codazzi” (con conto cifrato su banca svizzera, la Credìt Suisse – filiale di Lugano). 
Prima che entrassimo, alcuni elementi della Giunta erano chiusi in una sala a discutere. Dire che discutevano è un eufemismo: in realtà, a giudicare dal trambusto di voci, pareva che si stessero scannando. Non li avevo mai sentiti gridare, avevano dei modi molto cardinalizi: sempre abbottonati e felpati, difficilmente gli sfuggiva una parolina in più; quella sera, invece, erano molto alterati e stavano gridando. 
Quando ne uscì Guido Brigli mi fece addirittura pena tanto era conciato: sembrava che l'avessero appena picchiato.


Autoritratto, penna su carta - Gianluca Salvati

 
Colpiti e affondati, dunque: il problema era andato a segno...  Ed era appena l'antipasto.
Il “problema” ebbe il merito di far venire fuori i diversi attori di quella patetica farsa
Le gemelline dell'intrigo, Minerva Valletta e Adline Borges, il giorno successivo provarono inutilmente ad attaccarmi, dimostrando come fossero legate mani e piedi a quei filibustieri cerebrolesi della Cricca Codazzi e la sua dirigente Anna Grazia Greco.
Fu una vera sorpresa riscontrare quanto le due gemelline, Adline Borges e Minerva Valletta, si identificassero con quella feccia. 
Altrettanto curiosa è la posizione assunta da Minerva Valletta 2 anni dopo, ad appena 4 giorni dal mio rientro dal Venezuela in Italia nel settembre 2008...


Minerva Valletta, moglie dell'autista dell'Ambasciata italiana signor Bagordo

Il giorno seguente, la preside, Lucia Veronesi, mi convocò per chiedermi spiegazioni: “Cosa c'è che non va? - le dissi – Non ho fatto il nome di nessuno (di quei cornuti figli di puttana), ma se non fosse completamente persuasa, farò aggiungere la formuletta: ogni riferimento a fatti reali e a persone esistenti è puramente casuale”
Caso chiuso.

Lucia Veronesiun lievissimo battito d'ali



lunedì 19 novembre 2012

Massoneria | Escuela Agustin Codazzi: "Nulla dies sine linea" | Bruno Teodori - Gli speciali del Corriere | Lucia Veronesi

Il cervello negli Usa, il cuore in Italia

"Nulla dies sine linea" - american staffordshire terrier

[...]  Bruno Teodori é il preside della scuola italiana “Agustin Cudazzi” di Caracas , una delle due piú grandi (l’altra é la “Bolivar y Garibaldi”) della capitale, in cui si studia la nostra lingua. Ma la “Cudazzi” é l’unica scuola italiana legalmente riconosciuta. Un osservatorio privilegiato perciò, quello di Teodori, per capire i giovani italovenezuelani.
«Soprattutto quelli della terza generazione hanno stabilito un legame molto forte con l’Italia», dice. «Ce ne accorgiamo dal numero crescente di iscrizioni. É un legame sentimentale che ha tante e intuibili motivazioni. Il richiamo razionale é esercitato invece dagli Stati Uniti».

Murales, acrilici su parete 2010 - Gianluca Salvati

In che senso? Teodori: «Nel senso che la presenza culturale ed economica gli Stati Uniti qui é altrettanto forte. Cosa vuole, sono al di là del Mare dei Caraibi, diciamo un’ora di volo. Moltissimi giovani, venezuelani toutcourt e italovenezuelani, vanno lì a studiare e inevitabilmente ne tornano influenzati, soprattutto dalle dinamiche economiche, e dai tanti aspetti del business possibile». E allora, preside? «E allora, possiamo dire che i giovani italovenezuelani hanno il cervello negli Stati Uniti e il cuore in Italia. Ma non considero questa circostanza una limitazione, anzi».
Perché? «Perché il pragmatismo statunitense unito alla fantasia, all’inventiva e alla sensibilità italiane possono tornare utili a tutti nel momento in cui questi giovani diventeranno dei manager: al Venezuela, agli Stati Uniti e all’Italia. Nell’epoca in cui sono tramontati i nazionalismi culturali e sono stati abbattuti gli steccati ideologici, dobbiamo pensare a un nuovo soggetto sociale che abbia in sè il meglio del passato e il meglio del futuro. Mi sembra che i giovani italovenezuelani, con il cervello negli States e il cuore in Italia, rappresentino quello che cerchiamo».

Paseo por la calle, olio su tela 1997 - Gianluca Salvati

Nella notte tropicale l’aereo fa un lungo giro prima di imboccare la rotta per l’Australia. Caracas è laggiù, foresta di luci che si allontana. La Svizzera dei Caraibi cerca di uscire dalla stagione dei rimpianti: lo fa scommettendo ancora sugli italiani. Solo che questa volta toccherà ai figli e ai nipoti rincorrere il futuro.

La caduta, olio su tela 1996 -  Gianluca Salvati

gianluca salvati

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Gianluca Salvati - Lotta di cani

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