CARACAS– Che ci fa un pittore napoletano a Caracas? E’ la prima domanda
che il cronista si pone incontrando Gianluca Salvati, artista
figurativo con alle spalle diverse mostre collettive e una personale
nella città di origine, che da due anni risiede nella capitale
venezolana.
“Sono
arrivato come insegnante della scuola italiana Codazzi”, risponde
con un sorriso aperto e il tipico accento della sua terra di origine
questo giovane che non dimostra i suoi 38 anni. “A un certo punto
della mia vita mi sono trovato di fronte a una scelta: vivere di
pittura facendo delle opere commerciali oppure trovarmi un lavoro che
mi consentisse di continuare a dipingere ciò che più mi piace,
senza badare al mercato. Così ho rispolverato il diploma magistrale
che ho conseguito prima di compiere gli studi all’accademia
dell’arte di Napoli e mi sono immerso nell’insegnamento”. Prima
di arrivare in Venezuela, Gianluca ha vissuto per un anno a
Casablanca, in Marocco, lavorando sempre come insegnante di italiano.
Sembra che la sua vita sia legata all’incontro con altre culture,
allo spaesamento di chi decide di vivere lontano da casa. Un
emigrante moderno o un artista alla ricerca di stimoli?
“Mi
piace entrare in contatto con altre culture, ma non è stata una
decisione programmata quella di venire in Venezuela o andare in
Marocco. Si è presentata l’occasione e l’ho colta, tutto qua. E’
chiaro che tutto quello che vedo e assorbo nei luoghi i cui vado mi
trasmette qualcosa che in un modo o nell’altro poi traspongo nei
quadri”. Nel suo periodo venezolano ha creato sette opere, sette
quadri di forte impatto emotivo, perché tutti hanno per protagonisti
figure umane, ritratte in posizione distesa, viste di fronte. “Una
delle prime cose che mi hanno colpito a Caracas erano le persone
distese in strada, mendicanti e barboni. Vedevo qui corpi e mi veniva
istintivo di raccogliere degli schizzi o di fotografarli. Non l’ho
fatto, per pudore o rispetto, ma poi, quando ho sentito il bisogno di
dipingere, ho affittato uno studio e il risultato del mio lavoro sono
questi quadri”.
Il
rapporto di Gianluca con la pittura è molto intenso, ammette che è
la cosa che gli piace più fare nella vita, ma trascorre lungo
periodi senza dipingere. “Fin da piccolo ho avuto la passione per i
colori e il disegno. La mia è una famiglia di musicisti: la nonna,
il babbo, i miei due fratelli, tutti musicisti. Io sono l’unico che
si dedica alla pittura, però passo dei lunghi periodi in cui non mi
avvicino alla tela. Per dipingere serve tranquillità e in certi
momenti devi lasciare maturare le sensazioni che vuoi trasmettere
dipingendo, devi studiare, ricercare”.
Nei
primi tempi non riusciva ad abituarsi al clima dei Caraibi e
soprattutto all’assenza delle stagioni come si vivono in Italia, ma
ora si è affezionato al paese. “Ci sono dei paesaggi spettacolari
e il ritmo della vita è più rilassato, meno stressante. E poi
stando in America Latina ho avuto modo di conoscere le opere di
grandi artisti come il venezolano Jesus Soto o il messicano Rufino
Tamayo. Mi piace molto anche l’artigianato indigeno, i lavori fatti
a mano”, dice.
Chiusa
l’esperienza alla scuola italiana, Gianluca sta ora seguendo un
corso di grafica, altra sua passione, e programma il rientro in
Europa. Prima di partire deve tuttavia prendere una decisione: che
fare dei quadri realizzati in Venezuela? “Al principio non mi
piacevano, poi ho cambiato idea e forse alcuni li porterò con me,
anche se non è facile svolgere la tela, rischi di rovinarli.
Insomma, non ho ancora ben chiaro che farne, forse li regalerò.
Venderli? Non li ho pensati per questo”.
Pubblicato il 08 maggio 2006 da Max Mauro-9/5/06