In questi ultimi giorni sono usciti due libri su Enrico Mattei, il fondatore dell'ENI. Uno è un «giallo» che pretende fornire le fila dell'attentato di cui egli sarebbe rimasto vittima, e non val la pena parlarne: non perché l'ipotesi sia da scartare a priori, ma perché gli autori non riescono a basarla che su congetture e induzioni scopertamente romanzate all'insegna del sensazionale. L'altro, no: è un profilo serio e penetrantissimo, scritto da un inglese che a Mattei fu molto vicino in qualità di consulente: Paul H. Frankel. S'intitola Petrolio e potere («La Nuova Italia» Ed., 175 pagg., L. 1000). E non è soltanto una biografia; è anche un saggio, asciutto chiarissimo, come solo sanno scriveme gl'inglesi, su tutto il problema delle fonti d'energia. D'altra parte, solo così inquadrato si può capire e valutare Mattei. E di capirlo e valutarlo, è ormai tempo.
L'uomo non aveva del resto nulla d'insondabile e misterioso. Come tutti i grandi caratteri, Mattei era un carattere semplice, perfino rozzo.
La cosa che più mi colpì, nell'unico personale contatto ch'ebbi con lui una sera a cena, fu l'intensità della sua concentrazione. Parlò di una cosa sola, sempre di quella: ogni volta che cercavo di spostare il discorso su altri fatti e interessi, il suo volto si chiudeva e assumeva l'espressione del sordo.
Frankel dice che, sebbene non avesse mai avuto nulla a che fare col fascismo, Mattei ne aveva respirato l'aria, come del resto tutti gli uomini della sua generazione. L'idea di un'Italia negletta e defraudata dei suoi diritti a un «posto al sole» in lui era diventata convinzione profonda forse perché il posto al sole aveva dovuto guadagnarselo egli stesso, figlio di un povero carabiniere meridionale costretto a lavorare di gomiti per inserirsi nel mondo degli affari lombardo.
Nulla di straordinario in questa vicenda. Milano è piena d'immigrati che hanno battuto la stessa strada e incontrato le medesime difficoltà; ma che, una volta arrivati, se ne sono gettati dietro le spalle il ricordo. Mattei, no. Anche dopo che vi ebbe raggiunto una posizione di tutto rispetto, per lui Milano rimase sempre «la plutocrazia». Non era invidia: e lo dimostra il fatto che Mattei non fece mai nulla per esservi accolto, anche quando avrebbe potuto farlo da padrone. Mattei non ambì mai agli status symbol della grande borghesia imprenditoriale né mai chiese l'ammissione al club. Vedeva veramente in questa categoria l'oppressore privilegiato. Era convinto che in Italia i poveri fossero poveri perché i ricchi erano ricchi. E fu per questo che esercitò tanta suggestione anche fuori d'Italia. Quando Mattei diceva ai paesi sottosviluppati che il loro sottosviluppo dipendeva dalla rapacità degli sfruttatori, non lo diceva soltanto per fare i propri affari. Ci credeva. In lui c'era una componente di messianismo populista. Aveva degli uomini una concezione manichea: di qua i deboli e buoni, di là i potenti e cattivi. Ricordo una sua intervista in televisione in cui egli parlava dell'ENI come di un disarmato gattino perso nel bosco tra belve rapaci. La menzogna era smaccata e mi fece trasalire d'indignazione: l'ENI in quel momento aveva già zanne e artigli da tigre. Eppure, dopo capii che Mattei era in buona fede e che proprio questa era la sua forza: per diventar il vindice di un sopruso, aveva bisogno di sentirsene la vittima.
Quanto ci sia di favoloso e leggendario in ciò che i suoi agiografi spacciano per biografico, non conta. Conta solo il' fatto ch'egli abbia ispirato favole e leggende. Forse per esempio non è del tutto vero che il suo impero nacque da un gesto di disobbedienza quando, nominato dal governo commissario dell'Azienda Generale Petroli (AGIP) col compito di liquidarla, vi si rifiutò con un'insolente lettera di sfida. Ma è del tutto vero che in quel momento egli non aveva la minima idea di ciò che stava facendo e dove sarebbe andato a parare.
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Sogno, elaborazione digitale da un disegno del 2004 |
Frankel dice che subito dopo la Liberazione, Mattei non aveva affatto deciso su che strada mettersi, ma che caso mai propendeva più per la politica che per gli affari. È probabile. Si era fatto un bel nome nella Resistenza di cui era stato il Grande Elemosiniere, era strettamente legato ai suoi più prestigiosi capi, e aveva un vasto seguito fra i partigiani. Inoltre, per gli affari, gli mancava il maggiore propellente: la sete di denaro. Mattei era più ricco prima di creare la sua azienda che durante e dopo. Egli amava solo il potere, e l'amore del potere esclude tutti gli altri.
Ma probabilmente si era già accorto che la politica in Italia non conduce al potere. Conduce solo alla politica, per la quale a lui mancavano non solo le qualità, ma anche i difetti che contano ancora di più: era un pessimo oratore e credeva in ciò che faceva con una convinzione e ostinazione che lo rendevano inaccessibile a quell'arte del compromesso, di cui la politica ormai non fa più il mezzo, ma il fine. Tuttavia la sua scelta fu solo di strumento, non di obbiettivo. Preferì il petrolio al Parlamento perché pensò che fosse più facile dominare il Parlamento col petrolio che il petrolio col Parlamento.
Del petrolio sapeva ben poco, allora. Sapeva soltanto che le nostre forniture dipendevano da quelle grandi compagnie internazionali in cui egli vedeva la più perfetta e abominevole incarnazione della «plutocrazia». Frankel dice che non ci fu mai verso di convincerlo ch'esse non formavano un vero e proprio «cartello», come lui spregiosamente lo chiamava, cioè un monopolio, e che i loro profitti non erano poi così esosi, come lui valutava. Mattei doveva crederlo perché solo così poteva riuscire a farlo credere ai Paesi produttori. Egli portava nelle sue menzogne una carica di sincerità che le rendeva irresistibili.
Non conosco i capi delle compagnie petrolifere. Penso che sul piano tecnico e manageriale debbano essere uomini agguerritissimi, rotti a qualunque astuzia, e con un pelo sullo stomaco alto così. Ma sul piano umano la loro ottusità deve toccare livelli da Himalaya, a giudicarne dal modo con cui hanno condotto la lotta contro l'ENI. Essi risero quando Mattei, alla vista delle prime gocce di petrolio portate alla superficie dalle sue sonde in Val Padana, annunciò con la voce rotta dall'emozione che l'Italia aveva trovato nelle sue viscere la cassaforte di una ricchezza aperta a tutti. Avevano ragione in quanto la cassaforte non conteneva che quelle poche gocce. Ma non capirono che in un Paese appena reduce dalle mortificazioni della disfatta, più che di petrolio, c'era bisogno di fiducia, e che quell'annunzio riecheggiante il solito «L'Italia farà da sé», ne ridava. Essi risero quando Mattei si mise a profondere miliardi per costruire le più belle , moderne e lussuose stazioni di servizio con la scritta «Supercortemaggiore, la potente benzina italiana». Avevano ragione perché quella benzina italiana era fornita dall'Anglo-lranian inglese. Ma non capirono che queste ostentazioni affezionavano la pubblica opinione a un'illusione cui non avrebbe mai più rinunziato, dando così a Mattei la forza di tradurla in realtà. Essi credettero che Mattei fosse un venditore di tappeti. Sbagliavano. Era un venditore di sogni, merce molto più pericolosa, anche perché facilmente esportabile e non soggetta a dogana.
Nessuno può dire se, nel momento in cui il suo aereo precipitò, egli fosse alla vigilia di una clamorosa vittoria o di una irreparabile disfatta. Cioè potrebbe dirlo solo il suo successore Cefis, che si rifiuta di parlare. È noto che Cefis, prima stretto collaboratore di Mattei, se n'era poi allontanato - e, mi dicono, in malo modo - per dissensi sui criteri di gestione dell'azienda dove rientrò dopo la morte del fondatore. Eppure non ha mai pronunciato che parole di rispetto, quasi di venerazione, nei suoi confronti.
lo credo che Mattei abbia commesso molti sbagli, ma che proprio questi diano la misura dell'uomo. Chiunque altro ne sarebbe stato travolto. Lui no, perché era più grosso di essi, un personaggio ibseniano, cui è superfluo cercar di attribuire un'aureola di martire tessendo cattivi romanzi gialli sulla sua fine. Non ne ha bisogno.
I protagonisti, Indro Montanelli - 17 maggio 1970
Morì nel 1962, in un misterioso incidente aereo le cui cause rimasero
oscure per moltissimi anni. In seguito a nuove evidenze, nel 2005
fu stabilita la natura dolosa dell'incidente; vennero infatti ritrovati
segni di esposizione a esplosione su parti del relitto, sull'anello e
sull'orologio di Mattei.
tratto da Wikipedia